Giacomo Meliffi in navigazione sul fiume Nahanni
Aurora boreale sullo Yukon
Su Riders on the storm
Cascate Virginia
Sulle rive del Nahanni
I quattro della spedizione
Canoa Canadese su Glaciar Lake
Fairy Meadows - the penguin
Pausa a Fairy Meadows
In cima, dopo aver aperto L'oro dello Yukon
Salendo L'oro dello Yukon
Sulla Lotus Flower TowerÈ da poco rientrata in Italia la spedizione dei partecipanti al CAI Eagle Team Dario Eynard, Giacomo Meliffi ed Enrico Bittelli e del Ragno di Lecco David Bacci. I tre, supportati dal Club Alpino Italiano, hanno trascorso un mese all'interno del territorio del Nahanni National Park Reserve, nei Territori del Nord-Ovest (Canada), dove si trova il leggendario Cirque of the Unclimbables, un anfiteatro naturale di torri granitiche scolpite dai ghiacciai e famose nel mondo dell’arrampicata per la loro bellezza e difficoltà. Questo il palcoscenico della spedizione che aveva l’obiettivo di aprire nuove vie su pareti vergini e, successivamente, affrontare una discesa in packraft lungo il fiume South Nahanni. In circa un mese di spedizione i quattro alpinisti hanno realizzato l'apertura di una nuova via di 400 metri sul Middle Huey Spire – battezzata “L’Oro dello Yukon” – e hanno concluso l’avventura remando attraverso paesaggi selvaggi e incontaminati. Abbiamo raggiunto Dario Eynard che con un tono intimo, diretto e appassionato ci ha raccontato questa grande avventura nelle terre estreme.
Ciao Dario, ci racconti com'è andata questa spedizione in Canada?
L'idea di un viaggio come quello in Canada mi ha subito gasato. L’idea è partita da David Bacci, che poi l’ha proposta a Giacomo e infine a me e a Enrico Bittelli. Io avevo già in mente di fare qualcosa con Giacomo, mentre con gli altri non ci conoscevamo molto. In pratica abbiamo formato il gruppo e siamo partiti un po' alla cieca, senza passare troppo tempo in montagna per affiatarci prima della spedizione. Poteva andare bene come male: a noi è andata benissimo.
Gruppo ed esperienza nuova giusto?
Per me era la prima spedizione lunga in totale autonomia, un mese in mezzo alla natura, solo noi quattro. Trovarsi bene tra di noi era una scommessa, l'abbiamo vinta.
In parete invece?
Tutti siamo alpinisti e guide alpine, quindi la parte di scalata era nelle nostre corde; la vera sfida era il kayak. A riprensarci è buffo il modo in cui abbiamo pensato il progetto.
Cioè?
Prima abbiamo deciso per una spedizione in kayak, poi abbiamo imparato a usarlo. Siamo partiti veramente da zero, con lezioni private per capire come muoverci e gestire le rapide. Alla prima lezione, in acqua ferma, ci cappottavamo da soli poi man mano abbiamo iniziato a prendere la mano e affrontare acque sempre più difficili.
Arriviamo così al giorno della partenza…
Si, lasciata l'Italia abbiamo raggiunto il Finlayson Lake e da lì, il 25 luglio, in idrovolante siamo arrivati al Glacier Lake. Dopo un’ora di volo abbiamo toccato con mano quanto fosse remoto quel posto: ancora più isolato della Patagonia, dove comunque hai città vicine.
Nella filosofia di viaggio ci siamo ispirati alla spedizione del 1995 di Stefan Glowacz. Dobbiamo però dire che rispetto al tempo le condizioni oggi sono cambiate. Allora si poteva raggiungere il Cirque of the Unclimbables a piedi e via fiume attraverso un piccolo e remoto villaggio di minatori. Oggi questo è completamente abbandonato e irraggiungibile. Da qui la scelta del volo.
Depositati dall’idrovolante, abbiamo iniziato la camminata fino a Fairy Meadows, dove avremmo installato il nostro campo base. Avevamo zaini pesantissimi. Abbiamo trasportato cibo per una settimana e il materiale alpinistico, nei giorni successivi saremmo tornati indietro a prendere il resto. Subito ci siamo accorti della presenza fastidiosa delle zanzare, che ci hanno accompagnato fino ai 1700 metri di quota.
Arrivati, abbiamo montato il campo e iniziato a esplorare.
La prima impressione?
Di essere fuori dal mondo civilizzato, immersi in un pianeta fatto di pareti da scalare. Il Monte Harrison Smith, con pareti impressionanti. Un massiccio granitico che si innalza in mezzo al nulla. Qui avevamo delle idee su dove salire, ma dovevamo capirne la fattibilità. La mia idea originale era una parete chiamata Patagata, vicino alla Lotus Tower. Da lontano sembrava perfetta, ma osservandola bene ci siamo resi conto che era coperta di muschio e impraticabile. Così ci siamo orientati su due linee: una sul Monte Harrison Smith e una sul Middle Huey Spire.
Prima c'era stato anche un altro tentativo giusto?
Si, su Riders on the Storm, una via famosissiam nella zona. Ma siamo stati fermati dalla pioggia a due tiri dalla fine. Dopo abbiamo attaccato il Middle Huey Spire con David Bacci ha salito i primi due tiri della via, poi ho preso il comando io ed ecco la sorpresa: un nut incastrato, segno che qualcuno aveva provato ma si era ritirato. Perché? Probabilmente qualcuno aveva identificato la stessa linea ma non aveva proseguito trovando i primi tiri molto laboriosi e da ripulire. Noi invece abbiamo insistito: io ho aperto il primo tiro, Enrico un secondo molto estetico e dopo siamo scesi lasciadno in parete le corde fisse.
Il giorno dopo siamo toranti e Giacomo ha affrontato un tiro abbastanza precario. Arriva fino a metà tiro e si trova davanti a una micro-fessurina. Lui è molto bravo a scalare in libera, ma qui si ferma e mi guarda: “ti va di provare in artif?”. Allora prendo il comando e, quasi inaspettatamente, partono due tiri in artificiale abbasstanza impegnativi, valutati A3, che ci hanno portato via cinque ore e mezza di scalata. Poi un tiro in libera spettacolare: una fessura di 60 metri, finalmente roccia da sogno. Ho esclamato: “Abbiamo trovato l’oro dello Yukon!” (Da qui il nome della via, nda). David, con un po' di nonnismo ha deciso di scalarlo lui (ride). In cima poi ci ha colto il temporale con la pioggia, ma poco importava, eravamo felicissimi.
Sulla Lotus Tower invece?
Dopo giorni di maltempo e la ripetizione di Riders on the Storm, riuscita agli alti componenti della spedizione, si è aperta ancora una finestra di bel tempo. Abbiamo allora puntato la Lotus Tower, la montagna più iconica della zona, decidendo di scalarla in due giorni: il primo fino a una cengia, dove abbiamo bivaccato sotto un telo cerato; il secondo su placche mistiche, piene di knops e funghi granitici. Una scalata veramente bella e piacevole su knobs. Siamo saliti divisi in due cordate, io ero con Giacomo, Bacci con Bittelli. Anche qui siamo abbiamo fatto gli ultimi metri sotto al diluvio, per poi raggiungere la vetta proprio quando smetteva di piovere: come se la montagna ci avesse concesso il piacere della cima. Dall’alto la vista era incredibile: si vedeva il fiume Nahanni, come a segnare la fine della parte alpinstica della spedizione e l'inizio dell'avventura fluviale. Il “serpente” d'acqua ci aspettava.
Eccoci al momento che forse vi metteva più tensione…
Un po'… Per rientrare ci siamo caricati zaini da 40 chili a testa. Dovevamo riportare prima tutte le nostre cose a Glacier Lake. Da qui, grazie a delle canoe canadesi abbiamo attraversato il lago e poi ci siamo incamminati in una lunga marcia nella palude fino al fiume, che sembrava non arrivare più. Quando l’abbiamo raggiunto, a sera, è stato liberatorio.
Il Nahanni l’abbiamo percorso in 11 giorni. I primi quattro su acqua calma, faticosa per i muscoli ma tecnicamente semplice, riuscendo a percorrere 35-40 chilometri al giorno. Poi siamo arrivati alle Virginia Falls: cascate alte il doppio delle Niagara, in un luogo senza parapetti né barriere antropiche, dove ancora si respira la forza della natura. Qui il portage obbligato, per superare le cascate. Dopo siamo tornati a navigare e abbiamo affrontato il tratto più tecnico del nostro viaggio con onde alte due metri, rapide impegnative che siamo riusciti a gestite come ci avevano insegnato i nostri istruttori.
L’ultima parte del fiume invece era di nuovo calma, ma con vento contrario. Praticamente davamo due pagaiate avanti e una indietro!
Cosa ti sei portato a casa da questa spedizione?
Volevo una spedizione che fosse un mix tra arrampicata e avventura. È stata un’esperienza completa, unire le scalate e la traversata in canoa mi ha fatto sentire di costruire qualcosa di più grande sull'esperienza accumulata negli anni. La soddisfazione più grande? Aver aperto vie nuove in un luogo così remoto. E, naturalmente, riuscire a battere due canadesi a biliardo, il loro “sport nazionale”! (ride)