In salita sulla via "Cuochi in fuga". Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Il magliore rosso dei ragni nella Rangtik Valley. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
I tre ai piedi della Torre Fanni. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Sulla Torre Fanni. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Aprendo Less Is More. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Durante il tentativo alla Torre Fanni. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Durante il tentativo alla Torre Fanni. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-NesaNella remota Rangtik Valley, nel cuore dello Zanskar Ladakh, in India, i Ragni di Lecco Matteo De Zaiacomo e Chiara Gusmeroli, insieme al giovane Davide Nesa hanno vissuto settimane intense. Supportati dal Club Alpino Italiano, sono partiti con l’idea di aprire nuove linee in stile alpino, senza trapano e nel pieno rispetto dell’etica della montagna, hanno trovato condizioni meteorologiche anomale: dopo pochi giorni di bel tempo, una nevicata ininterrotta ha ricoperto la valle per quasi due settimane, mettendo a dura prova uomini e progetti. Nonostante il maltempo, sono stati tentati itinerari ambiziosi su cime inviolate e pareti importanti e sono nate due nuove vie, tra cui Less is More. Quasi un manifesto contro l’alpinismo consumistico. Ce lo racconta Matteo De Zaiacomo tra salite, rinunce e una visione dell’alpinismo che mette al centro il rispetto delle montagne e della loro storia.
Matteo, partiamo dall’inizio, com’è andata la spedizione?
Siamo partiti con le migliori intenzioni di affrontare le pareti simbolo di questa valle in stile alpino e senza trapano. La Rangtik Valley era già stata visitata da altri alpinisti, alcune cime erano state salite, ma c’erano ancora molte pareti inviolate. Volevamo confrontarci proprio con queste strutture principali, nel rispetto della storia e con un approccio pulito.
Ci siete riusciti?
Noi siamo arrivati al campo abse il 19 agosto, ed eravamo carichissimi, anche se le condizioni erano stranamente secche. Non c’era nemmeno il classico rigagnolo di acqua vicino al campo base. Ci hanno spiegato che quest’anno il Monsone non si è presentato, ma nonostante questo sapevamo che potevamo scalare. Così subito Chiara e Davide hanno ripetuto la via Rolling Stones sullo Shawa Kangri, una bella salita che è servita a prendere le misure con la quota. Il terzo Giorno poi abbiamo aperto una nuova via sulla parete nord-ovest dello Shawa Kangri. Una parete inviolata su cui abbiamo tracciato un itinerario di 14 tiri di cui i primi 3 su ghiaccio a 70 gradi. Era talmente duro che ha dato molto filo da torcere. Dopo sono seguiti una dozzina di tiri abbastanza ingaggiosi fino all’ottavo grado. È stato davvero bello aprirla tutta in libera, in giornata e alternandoci al comando. Soprattutto nell’ottica che questa fosse solo una bella salita di acclimatamento.
Questo è l’inizio della nostra spedizione poi, avevamo in mente altri progetti, volevamo aprire vie sulle pareti principali.
E invece?
La sera stessa del nostro rientro al campo base è arrivata una perturbazione anomala: ha iniziato a nevicare senza sosta per quattro giorni consecutivi, accumulando più di un metro di neve. Durante questo stop forzato abbiamo ragionato sul nome della via e ci è venuta in mente una citazione di Eddie Vedder: “Less is More”. Abbiamo deciso di battezzarla così, come monito agli alpinisti che verranno, perché abbiano rispetto per questo posto di facile accesso. Una valle che potrebbe facilmente diventare un nuovo Kirghizistan, attraendo scalatori da ogni parte del mondo, ma che deve approcciato con rispetto per le parete.
Cosa intendi?
Parlo del rispetto per la storia e lo stile delle pareti. A questa incessante voglia di portare sempre con sé il trapano, per fare a tutti i costi una nuova via su pareti lontane o vicine a casa. Una degenerazione ad ampio spettro. Oggi viviamo nel tempo del politically correct e a tutti va bene tutto, ma questo non vale per l’alpinismo. L’alpinismo dovrebbe rimanere tale, senza diventare una pratica sportiva dove si perde il rispetto per le montagne nella ricerca del risultato a ogni costo.
Siete riusciti a combinare altro in queste settimane di spedizione?
Dopo altri quattro giorni di nevicate e un altro metro abbondante di neve, abbiamo sfruttato l’ultima finestra che avevamo a disposizione. Noi sognavamo ancora le grandi pareti, ma alla fine abbiamo optato per una via breve ma intensa (ottavo grado, A1) aperta su una struttura minore vicino al campo base, chiamata Cuochi in fuga in ricordo dei nostri cuochi che, spaventati dalle valanghe, sono scappati e ci hanno abbandonati durante la bufera. Poco dopo abbiamo ancora tentato la “Torre Fanni”, dove volevamo ripetere Lam Thuk Khamzang, via aperta dagli altoatesini Stefan Plank e Hannes Niederwolfsgruber nel 2023. Ma abbiamo dovuto rinunciare a circa 100 metri dalla vetta. L'ultimo giorno poi abbiamo fatto un tentativo su una cima inviolata, ma abbiamo dovuto rinunciare per mancanza di tempo. Il giorno sarebbero arrivati i portatori, il nostro soggiorno nella valle si avvicinava al termine, ma le mani continuavano a pruderci. Non posso dire di non essere soddisfatto di questa spedizione, ma ce ne siamo andati con ancora con tanti progetti da realizzare e con lo stesso appetito di scalare con cui eravamo arrivati.
Momenti di relax durante le nevicate al campo base. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Le vette inviolate ancora da esplorare. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Abbondanti nevicate al campo base. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Un metro di neve al campo base. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Sulla via Cuochi in fuga. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Cima inviolata sul gruppo del Remalaye (6278 m), tentata l'ultimo giorno. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Durante il tentativo sulla cima inviolata nel gruppo del Remalaye. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-Nesa
Durante il tentativo sulla cima inviolata nel gruppo del Remalaye. Foto di De Zaiacomo-Gusmeroli-NesaVorresti tornare?
Si, ma non nello stesso posto. Quando siamo saliti ai 6300 metri, mi sono accorto che oltre quelle cime già conosciute c’è una vastità di montagne di granito con pareti ripide, tra i 5000 e i 6000 metri. Montagne ancora senza nome e senza salite. Sono sfide affascinanti, ideali per spedizioni leggere e motivate. L’agenzia locale stessa non sapeva nemmeno come arrivarci: questo dimostra quante possibilità ci siano ancora nello Zanskar, basta avere fantasia.
Fantasia e rispetto, immagino. Ci spieghi qual è il tuo concetto di alpinismo?
Per me l’alpinismo va contestualizzato al luogo. Se una parete ha una storia sviluppata nello stile alpino, senza trapano, bisogna rispettarla. L’alpinismo moderno deve avere la sensibilità di capire fin dove si può spingere con i mezzi meccanici, altrimenti ogni parete diventa una palestra sportiva e perde la sua autenticità e la sua avventura.
Non sono contrario al trapano in assoluto: ci sono posti di fondovalle o riconosciuti per l’arrampicata sportiva dove è giusto usarlo e spingere le difficoltà. Ma bisogna distinguere: c’è l’alpinismo e c’è l’arrampicata sportiva. Portare il trapano “dove il drago vive ancora” significa rovinare pareti che dovrebbero rimanere integre.
Parli del turismo sulle big wall come siamo ormai abituati a parlare delle commerciali sugli Ottomila…
Negli ultimi dieci anni anche questo tipo di alpinismo esplorativo è cambiato. Luoghi che una volta erano quasi mistici ora hanno il wi-fi al campo base. È diventato un alpinismo sempre più turistico, quasi mainstream, simile a quello che invade gli Ottomila. A livello mediatico, a molti non interessa se una via è stata aperta con o senza trapano (solo i tecnici fanno caso a queste cose). Ma per me la differenza è enorme: se sali una via con il trapano solo per fare notizia, non lasci nulla di reale alla montagna né alla storia dell’alpinismo. Lasci solo un gesto egocentrico.
È forse questo il messaggio di Less is More?
Sì. Less is More parla di quei posti di facile accesso che sono i primi a essere visitati, e sarebbe bello preservarli, non svenderli a salite “facili” e discutibili. L’alpinismo non deve perdere la sua etica e il rispetto per le montagne. È giusto che siano loro, le montagne, a dettare le regole.