Foto Pixabay.“Ti amo, forte e debole compagna / Che qualche volta impara e a volte insegna”, cantava Lucio Battisti nel 1978, maledicendosi (per finta) per aver scelto “Una donna per amico”. Quei versi tornano in mente leggendo i libri di autori che convintamente affermano di avere la stessa affinità sentimentale con un albero.
Voci dal bosco - di Daniele Zovi
“Ogni forestale ha un albero segreto”, confessa Daniele Zovi, e lo va a trovare ogni tanto come si fa con un vecchio amico un po’ avanti negli anni, per sentirsi raccontare qualche storia. E lui di storie deve averne ascoltate tante, in tutta la sua carriera professionale, perché da quando ha iniziato a scriverle non ha più smesso di incantare il pubblico di ogni età. Nell’ultimo volume, per esempio, Voci dal bosco. Incontri silenziosi con piante e alberi (pp. 96, 12 euro, CAI Edizioni 2025, illustrazioni di Giuliano Dall’Oglio), fa ben intendere perché gli alberi siano abili narratori per chi ha le orecchie giuste.
Iconica rappresentazione di ciò sono i violini che Antonio Stradivari costruiva con il legno dell’abete rosso di Paneveggio, di Latemar, della Val di Fiemme e della foresta friulana di Tarvisio. Abete di risonanza di cui a Cremona il liutaio eternava l’essenza nei divini suoni che avrebbero generato una volta trasformati in archi. Come il preziosissimo “Messia” conservato a Oxford, dal valore milionario: Zovi racconta che la lunga diatriba circa la sua autenticità fu risolta solo grazie alla dendrocronologia, la scienza che ci consente di datare l’età di un albero leggendo i cerchi del tronco, ma senza bisogno di tagliarlo: basta un “succhiello”, il piccolo trapano inventato dal Signor Pressler per la gioia dei forestali (e delle piante).
A Summonte si sono superati, inventandosi un modo per ascoltare gli alberi anche senza trasformali in violini, come fossero balene. Nella piazza principale di questo piccolo borgo a 700 metri di quota in provincia di Avellino, si erge da almeno 250 anni un grande tiglio di 35 metri di altezza e 6 di circonferenza. Ebbene, grazie a un dispositivo in grado di convertire in note i flussi elettrici provenienti dall’interno dell’albero, con pratico qr-code chiunque può rilassarsi con una musica davvero unica, dai sicuri effetti benefici. E con Zovi potremmo proseguire per altri 13 capitoli, ma non è il caso di spoilerare tutto il libro, che si trova in libreria o su CAI Store (dove soci e sezioni possono acquistare a sconti vantaggiosi).
Il libro di Zovi.Parla col bosco - di Vittorio Mason
Gli fa di certo eco quello di Vittorino Mason, di recente apparso in tv nel programma Geo per raccontare il suo ultimo lavoro: Parla col bosco (pp. 240, 17 euro, Ediciclo 2025), una raccolta di 21 dialoghi intimi e interiori con gli alberi incontrati durante i molti cammini in giro per il Triveneto, lui che vive a Castelfranco. Dialoghi, appunto, parola che più umana non potrebbe essere, eppure si è fatta strada anche nella dimensione ibrida del nuovo rapporto fra uomo e natura, quel “neoumanesimo” di cui Matteo Righetto è uno dei principali teorizzatori (si veda Il richiamo della montagna, appena uscito per Feltrinelli). Alberi come “custodi naturali” dei paesaggi alpini, al pari dei colleghi umani al punto da intavolarci una conversazione muta. E così avviene per esempio con un bel ciliegio della Val Seren, che placido vigila su un vecchio casolare, affacciato a un laghetto pullulante di girini. Il cuculo canta “e io parlo con te in questa pausa di cammino” dichiara senza vergogne Mason, scrittore, alpinista che da ragazzo si è formato come falegname.
Un tempo avremmo pensato che chi parla con un albero ha qualche rotella fuori posto, ora che sugli alberi ne sappiamo di più ci viene meno da ridere. Ora che la scienza ha scoperto che comunicano fra di loro e convivono con rara efficienza come una comunità solidale in grado di supportarsi in caso di necessità.
Ma gli alberi di Mason sono spesso solitari, come li ritraggono le fotografie in bianco e nero che si alternano ai testi, conferendo alla pubblicazione il giusto tocco di malinconia. C’è un tiglio vecchio di 250 anni (anche questo!) che impreziosisce il panorama del Nevegal, l’ontano nero di Funès che resiste solitario allo spopolamento dell’Alpago, il mugo di San Giorgio in equilibrio su un crinale a metà tra la Val Belluna e la Val Cordevole, a cui non resta che osservare l’inesorabile impoverimento del Nordest che ha svenduto la propria terra perdendo l’anima.
La copertina del libro di Mason.Il cuore infranto della quercia - di Patrizia Carrano
Un po’ quello che sembra succedere, da tutt’altra parte, nelle scene iniziali del romanzo di Patrizia Carrano Il cuore infranto della quercia (pp. 228, 17 euro, Aboca 2025): siamo nel parco di Manziana, una vasta area boschiva da 580 ettari a nord di Roma. Carlotta ci va spesso all’alba, con il suo cane, ma non solo per trovare un generico conforto nel verde e nel silenzio ombroso dell’antico bosco. Lì vive una quercia ai cui piedi si siede trovando un’accoglienza che odora di materno: le parla, si sfoga con lei dei tanti dolori che la affliggono. A lei, che di professione è traduttrice di testi naturalistici, viene in fondo spontaneo dialogare con un albero. Ma quando un giorno quella quercia viene abbattuta perché malata, le crolla il mondo. Anzi, le si ferma il cuore: dopo molti tentennamenti si reca in ospedale, dove le viene diagnosticata la “sindrome del cuore infranto”. Quella quercia, assurta ad alter ego della giovane donna, cadendo aveva lanciato un SOS impossibile da ignorare. Ma forse siamo in tanti a capire cosa significa, incatenati a una vita disumana come palline nel flipper della nostra quotidianità, pronti a scioglierci di fronte a un filo d’erba se ne abbiamo la possibilità. La narrazione dura il tempo del ricovero: 5 giorni che serviranno ad attraversare le quattro stagioni della vita della protagonista-narratrice: delle foglie, della carne, delle pietre e delle nubi. Da quando fu bambina figlia di genitori anziani dall’affetto tiepido, a quando da grande ha deciso di studiare il lupo in Abruzzo, passando da un grande dolore del passato a un nuovo amore del presente.
Dentro, nascosti nella finzione letteraria, ci sono pezzettini della vita vera di Patrizia Carrano, giornalista e scrittrice con una ventina di romanzi all’attivo, qualcuno anche tradotto all’estero, sensibile al tema femminile, ma anche a quello naturalistico, appassionata di lupi, su cui ha imparato molto grazie al lavoro di studiosi come Luigi Boitani, e di cavalli, che l’hanno portata in giro per il mondo ma anche sugli Appennini. “Il respiro di un animale o il frusciare di un bosco è il respiro della Terra”, scrive proprio in chiusura. “Sta a noi saperlo ascoltare, prima che sia troppo tardi”.
Non abbiamo che da aprire le orecchie.
La novità Aboca di Patrizia Carrano.