François Cazzanelli durante il concatenamento
François Cazzanelli durante il concatenamento
François Cazzanelli durante il concatenamento13 ore e 39 minuti, 6150 metri di dislivello e 32,6 chilometri in cresta per concatenare cinque vie classiche del Monte Rosa, da solo, senza soluzione di continuità. Certe giornate nascono da un’idea semplice, quasi nostalgica. Un pensiero che affiora ripercorrendo a ritroso le orme lasciate su sentieri familiari, su creste che hanno segnato gli inizi di un legame profondo con la montagna. “Era da tempo che cercavo un concatenamento logico ed elegante per mettermi alla prova” racconta François Cazzanelli, che per questa idea ha scelto di tornare alle origini. “L’ispirazione è nata ripensando a dove tutto è cominciato: le montagne attorno al rifugio Quintino Sella, dove ho lavorato per ben sei estati”.
Un progetto che ha il sapore della libertà e della mera voglia di stare in montagna, senza troppe sovrastrutture, per pura passione. Senza nessun bisogno di cercare l’impresa. Così il 18 luglio scorso nasce il primo concatenamento delle creste a sud del Monte Rosa, ma lasciamo che a raccontarci questa storia sia il suo protagonista.
François, come si è trasformata quell’idea iniziale in un progetto concreto?
Da tempo volevo fare qualcosa di non estremamente difficile, in solitaria, dove poter passare tante ore in montagna. In primavera ho avuto un infortunio alla caviglia, da cui ho impiegato tempo prima di riuscire a uscirne. Praticamente da metà maggio a metà giugno sono stato ai box, con questo contrattempo che mi penalizzava sia nell’arrampicata che nella corsa. Poi, la settimana scorsa ho fatto un test e finalmente mi sono reso conto che la forma fisica stava tornando, così mi sono detto: perché non provare a mettere in piedi qualcosa? Avevo tante idee, poi confrontandomi con alcuni amici sono arrivato a immaginare questo concatenamento che collega tutte le creste esposte a sud del Monte Rosa.
Ci racconti com’è andata?
Penso che sia un concatenamento molto logico ed elegante. Volevo mettermi in gioco in un terreno che conosco bene, dove so come muovermi. Avendo lavorato per sei stagioni al rifugio Quintino Sella Al Felik tutto è venuto naturale.
Alla fine mi sono divertito e me la sono goduta. Sono arrivato alla fine stanco come raramente mi è successo, ma che soddisfazione. Ho trovato e sperimentato la gioia di essere da solo in montagna e, per una rara volta, il piacere di pensare solo per me stesso.
A livello tecnico, invece, ci racconti il percorso?
Sono partito alle 4 del mattino da Saint Jacques. Ho risalito il Pian di Verra Superiore per affrontare la lunga cresta che porta alla Punta Perazzi (3906 m), quindi sono sceso lungo l’omonimo ghiacciaio per risalire la cresta sud del Castore (4225 m). Dopo 4 ore e 50 minuti ero in vetta.
Da lì ho raggiunto il rifugio Quintino Sella, dove Adriano Favre e tutto lo staff mi hanno rimesso in sesto con una pasta e un’omelette.
Ripartito, dopo un’ora ero all’attacco della cresta sud del Naso del Lyskamm. Passaggio obbligato al bivacco Mamo, poi vetta del Naso (4272 m) e prosecuzione lungo la Cresta Sella fino al Lyskamm Orientale (4532 m). Dopo circa 10 ore e 30 minuti complessivi ho raggiunto il Colle del Lys, da cui ho ripreso a salire lungo la Cresta Rey in direzione della Dufour (4634 m). Da qui per arrivare alla Capanna Regina Margherita (4554 m), il rifugio più alto d’Europa, mi sono servite altre 3 ore e 10 minuti. Lì, finalmente, mi sono concesso una buona pizza. Poi la discesa fino al rifugio Mantova.
Che condizioni hai trovato?
Condizioni molto secche. Le montagne stanno vivendo l’ennesima estate complicata. Una condizione che cambia completamente l’approccio.
Credo che, in generale, il mondo della montagna non abbia ancora compreso davvero quanto sia necessario cambiare radicalmente atteggiamento in futuro. Stiamo vivendo un’epoca in cui le montagne stanno cambiando: le stagioni non sono più quelle di una volta, e ciò che un tempo era scontato ora non lo è più. Mi dispiace sempre vedere che, su questo tema, c’è ancora poca divulgazione e scarsa consapevolezza, anche tra chi frequenta la montagna.
Cosa intendi?
Tutti parlano di cambiamento climatico, dei ghiacciai che si fondono… ma non siamo più solo in una fase di osservazione. Il punto è che molti ancora non accettano davvero che le nostre scelte e valutazioni in montagna dovranno cambiare, a volte anche in modo radicale.
Quali sono queste scelte?
Stiamo assistendo al collasso di intere pareti. Basta pensare alla Tour Ronde, nel massiccio del Monte Bianco: esclusi i mesi invernali, ormai non è più praticabile con un margine di sicurezza accettabile.
Per questo penso che ci siano montagne che, non dico che non si potranno più salire, ma sarà possibile farlo solo in periodi ben precisi dell’anno. E talvolta neanche allora. È importante prenderne coscienza.