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Foto di Sebastian da PixabayL’Alto Adige rappresenta uno scrigno di biodiversità, sia in termini di flora che di fauna. Un bene prezioso ma fragile, che si trova ad affrontare una duplice sfida per la sopravvivenza: cambiamenti climatici e pressione antropica. A fornire una dettagliata panoramica di quello che è lo stato di “salute” della natura, nel ventaglio di ambienti che caratterizzano l'area altoatesina, e quali siano le tendenze, è il primo rapporto sui risultati del Monitoraggio della Biodiversità, avviato nel 2019 e condotto da Eurac Research, in collaborazione con il Museo di Scienze Naturali e la Provincia autonoma di Bolzano.
Il monitoraggio viene condotto secondo protocolli standardizzati, che prevedono lo studio di una serie di specie “bioindicatrici”, ovvero particolarmente sensibili alle alterazioni ambientali a carico degli ecosistemi in cui vivono, che possono essere di natura climatica o legate alle modifiche dell’uso del suolo. Tra queste, per gli habitat terrestri, vi sono piante vascolari, uccelli, pipistrelli, cavallette e farfalle. Per quelli acquatici, si tratta di invertebrati, quali larve di plecotteri, tricotteri ed efemerotteri.
Sono oltre 400 i siti monitorati, nel dettaglio 320 siti terrestri e 120 acquatici, distribuiti nella provincia di Bolzano, a coprire un totale di 7.400 chilometri quadrati di territorio, all’interno del quale è possibile identificare una varietà di ambienti, spaziando dalle aree protette alle zone maggiormente antropizzate, dalle aree coltivate a bassa quota agli ambienti alpini.
Come sta la natura in Alto Adige
Integrando i dati raccolti sul campo con fonti bibliografiche, il team di ricerca, che dal 2019 conduce il monitoraggio, ha cercato di definire quelle che sono le tendenze evidenziabili nel campo della biodiversità. Ovvero come stiano reagendo le specie, animali e vegetali, ai cambiamenti avvenuti o in corso, nei molteplici ambienti che caratterizzano la natura altoatesina, dalle praterie e boschi alpini alle zone umide, fino ad arrivare ai paesaggi del fondovalle, profondamente modificati dall’intensificarsi dell’agricoltura nel corso del XX secolo.
Partendo da questi ultimi, nelle aree di fondovalle, si è assistito a una espansione delle monocolture (soprattutto meleti), in sostituzione dei frutteti tradizionali e dei campi di cereali. È aumentato l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, in particolare nelle aree a coltivazione intensiva. Sono state abbandonate le coltivazioni su terreni ripidi e rimossi in parte gli antichi muretti a secco. Tutti elementi che hanno portato alla perdita di habitat per specie fortemente legate ai metodi agricoli tradizionali.
Passando dalle campagne ai boschi, qui si sta assistendo a una fase di recupero naturale. L'abbandono di pratiche tradizionali come il pascolo e la raccolta di lettiera, unito alla riduzione del taglio degli alberi nelle aree più remote, ha permesso lo sviluppo di ecosistemi più complessi. I boschi, che oggi presentano diversi stadi di crescita, dagli alberi giovani a quelli vecchi e in decomposizione, offrono rifugio a specie preziose come pipistrelli e picchi.
Fonte di preoccupazione sono le zone umide, fortemente influenzate dalle attività antropiche. Foreste ripariali e torbiere, che rappresentano habitat importanti, sono state prosciugate in larga parte. I frammenti ancora esistenti, sono oggetto di protezione, ma in virtù di tale isolamento, questi preziosi hotspot di biodiversità, risultano estremamente vulnerabili.
I corsi d’acqua presentano tratti fortemente impoveriti a livello ambientale, in conseguenza di rettificazioni degli argini e dello sfruttamento idroelettrico. Nota positiva è l’evidente miglioramento nella qualità dell'acqua, grazie all'efficacia degli impianti di depurazione.
Salendo in alta quota, si arriva agli ambienti maggiormente sensibili alle alterazioni climatiche, quelli alpini. Ambienti che ospitano specie altamente specializzate a vivere in habitat d’alta quota, caratterizzati da basse temperature, alcune delle quali sono endemiche. Come conseguenza dell’aumento delle temperature, queste specie stanno riducendo la loro distribuzione, ad aree sempre più ristrette e ad altitudini crescenti, o nicchie esposte a nord, per giovare delle temperature più basse. Il riscaldamento climatico sta inoltre portando a migrazioni in quota di specie termofile. Il loro arrivo può determinare competizione e rischio di sostituzione delle specie autoctone.
Dato interessante emerge dall’analisi della biodiversità in ambienti urbani. Si registra infatti la presenza di un numero incredibile di specie vegetali ma, come evidenziato dagli esperti, nella maggioranza dei casi si tratta di specie non autoctone o particolarmente resistenti agli stress. Una grande biodiversità dunque, non del tutto positiva, ma testimonianza di un incremento nel processo di diffusione delle specie invasive.
Servono azioni concrete a protezione della natura
Come dichiarato da Andreas Hilpold, biologo di Eurac Research e coordinatore del BMS, i dati raccolti nell’ambito del monitoraggio rendono evidente che non si riesca attualmente a preservare adeguatamente la biodiversità altoatesina nella sua totalità. “L’attuale utilizzo del territorio da parte degli esseri umani – si legge nel report -, combinato con i cambiamenti globali, non è compatibile con la conservazione completa della flora e della fauna”.
Sebbene vi siano notizie positive, come il processo di riespansione del bosco, si è ancora lontani dal poter cantare vittoria, annunciando una inversione di tendenza nella perdita di biodiversità. Ci troviamo in un’epoca in cui sia l’attenzione della politica che del singolo cittadino, nella salvaguardia della natura, appare incrementata. Ma per garantire la conservazione e la protezione della biodiversità è indispensabile intraprendere azioni concrete.
Per supportare i decisori, al fine di raggiungere tale scopo, il team di ricerca ha elaborato una serie di raccomandazioni.
Per sostenere la natura, risulta essenziale, in chiave generica, disporre di un paesaggio maggiormente diversificato e riporre maggiore attenzione nel conservare e creare corridoi ecologici.
Nei prati e pascoli, si suggerisce di ridurre la concimazione, ritardare lo sfalcio e gestire correttamente il pascolo, evitando casi di sovrapascolamento. Per le colture permanenti e i campi coltivati, è fondamentale ridurre fattori di stress, quali erbicidi e fertilizzanti e sfalcio frequente, oltre a creare e conservare elementi naturali come siepi e muretti a secco che offrono rifugio a molte specie.
In merito ai boschi, essenziale è puntare sull’assicurare un paesaggio eterogeneo, che presenti diverse fasi di sviluppo, compresa quella dell’invecchiamento, caratterizzata dalla presenza di legno morto. Al contempo bisogna evitare l'introduzione di specie non autoctone.
Nelle aree alpine, è cruciale prevenire l'impatto delle nuove opere edilizie su flora e fauna. Bisogna inoltre puntare sul gestire in modo sostenibile le attività ricreative.
Per le zone umide e i corsi d'acqua, il report suggerisce di adeguare la legislazione, creare una banca dati completa, ripristinare le torbiere, rinaturalizzare gli argini, e di garantire una gestione sostenibile delle risorse idriche per mantenere alta la qualità dell'acqua e la biodiversità.
Per le aree urbane, oltre a promuovere la biodiversità, attraverso tetti verdi, nuove piantumazioni, la creazione di punti d'acqua, è importante evitare l'uso di specie non autoctone.
“Il monitoraggio fornisce la base scientifica, ora abbiamo bisogno di coraggio politico, impegno sociale e attuazione pratica - sottolinea Ulrike Tappeiner, responsabile del progetto Monitoraggio della Biodiversità Alto Adige - perché la ricchezza della biodiversità non è solo un valore naturale: è anche la base della nostra esistenza”.
Il rapporto è liberamente consultabile e scaricabile sul sito di Eurac Research.