Antartide: il mistero (quasi) risolto della polynya di Maud Rise

Un’enorme apertura nel ghiaccio antartico riappare ciclicamente nel Mare di Weddell: è la polynya di Maud Rise. Un fenomeno raro che intreccia scienza, clima e vita marina.
La polynya di Maud Rise

Osservato per la prima volta oltre mezzo secolo fa, al largo delle coste orientali dell’Antartide è un fenomeno rimasto per lungo tempo senza spiegazione, ancora oggi per certi versi enigmatico. Un fenomeno oceanografico chiamato polynya di Maud Rise. Un enorme buco nell’oceano ghiacciato, comparso improvvisamente nel cuore dell’inverno antartico, che ha stupito scienziati e climatologi per la sua vastità, le sue implicazioni e la sua misteriosa origine.

Ma cosa c’è dietro questo insolito squarcio nel pack marino? E nella sua comparsa ciclica (prima negli anni Settanta, poi improvvisamente nelle stagioni 2016 e 2017)?

 

Un oceano che si apre

Il termine “polynya” deriva dal russo e si riferisce a una zona di acqua libera dal ghiaccio circondata dal pack marino. In genere se ne distinguono due tipi principali: le polynya costiere, che si formano vicino alla terraferma per effetto dei venti che spazzano via il ghiaccio, e le polynya in mare aperto, fenomeni molto più rari che si verificano nel cuore dell’oceano ghiacciato. La polynya di Maud Rise è un esempio di questo secondo caso. Localizzata nel Mare di Weddell, sopra un rilievo sottomarino chiamato appunto Maud Rise questa polynya si apre ciclicamente in inverno, quando il mare dovrebbe essere interamente coperto da uno spesso strato di ghiaccio.

La prima segnalazione del fenomeno risale alla metà degli anni Settanta, quando i satelliti meteorologici della NASA rilevarono un’insolita apertura nel ghiaccio durante l’inverno antartico. La polynya Maud Rise rimase attiva per tre anni, tra il 1974 e il 1976, raggiungendo in alcuni momenti una superficie di 250mila chilometri quadrati.

Poi, inspiegabilmente, il fenomeno scomparve. Per oltre quattro decenni, nessuna apertura simile venne più osservata. Fino a quando, nel 2016, nuove rivelazioni satellitari hanno identificato una nuova apertura anomala nella stessa zona. L’anno successivo, nel 2017, il fenomeno si è ripetuto con forza ancora maggiore: la polynya raggiunse una superficie di oltre 80mila chilometri quadrati, pari quasi all’estensione della Svizzera.

 

Cosa causa questa voragine nel ghiaccio?

Per decenni la domanda ha lasciato Senza risposta i ricercatori. Oggi però un mosaico di ricerche oceanografiche, modelli climatici e osservazioni satellitari ha iniziato a fornire risposte. Il punto chiave è Maud Rise stesso: un rilievo sottomarino che altera il flusso delle correnti oceaniche nel Mare di Weddell. Questa protuberanza agisce come una barriera che genera moti verticali dell’acqua. Essenzialmente le acque più profonde e calde vengono spinte verso la superficie, fondendo il ghiaccio sovrastante e impedendone la riformazione. Questo fenomeno da solo, però, non basta a spiegare la formazione della polynya. A fornire maggiori dettagli ci pensa uno studio del 2017, condotto dalle università di Southampton e British Antarctic Survey, che afferma come un’intensa attività ciclonica invernale ha avuto un ruolo decisivo: i forti venti polari hanno innescato il movimento divergente del ghiaccio, creando le prime aperture. Questi spazi hanno così permesso all’acqua più calda di risalire, attivando un ciclo di fusione che si autoalimenta. Più acqua calda affiora, più ghiaccio si fonde, e così via. Un altro fattore importante, spiegano è il trasporto di acque maggiormente salate da parte delle correnti superficiali.

Dopo queste osservazioni, risalenti al 2017, non è più stato possibile studiare il fenomeno, perché non si è più ripresentato. Tramite osservazioni satellitari e boe oceanografiche è stato però possibile individuare aree di ghiaccio più sottile e una persistente anomalia termica nella zona. La teoria è quindi che i fenomeni sottomarini, di risalita delle acque calde, continuino a verificarsi, anche se non sono abbastanza intensi da aprire un varco visibile nel ghiaccio.

 

Questo fenomeno ha degli impatti globali?

Per quanto possa sembrare un fenomeno localizzato, in realtà la polynya ha effetti che vanno oltre la zona in cui compare. Infatti quando l’acqua calda affiora rilascia enormi quantità di calore e anidride carbonica nell’atmosfera. Questo influenza il bilancio energetico globale e può avere conseguenze sulla circolazione oceanica mondiale.

Non tutti i fenomeni sono stati però negativi. L’apertura improvvisa della polynya ha favorito fenomeni biologici inaspettati con la fioritura di fitoplancton visibile anche dallo spazio, creando una catena alimentare che ha beneficiato foche, pinguini e cetacei.

Nel contesto della crisi climatica globale la polynya di Maud Rise rappresenta un laboratorio naturale unico. Studiare queste aperture improvvise ci aiuta a capire meglio i meccanismi che regolano il trasferimento di calore tra oceano e atmosfera, la risposta dei ghiacci ai cambiamenti di temperatura, e le reazioni a catena negli ecosistemi marini. Secondo il climatologo John Turner della British Antarctic Survey “la polynya di Maud Rise ci ricorda quanto dinamico e imprevedibile possa essere il sistema antartico. Ogni volta che si apre una polynya, è come se la Terra ci parlasse direttamente, svelando una parte dei suoi segreti”.