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Foto di Einar Storsul da PixabayL'inquinamento atmosferico non conosce confini, né spaziali né temporali. La sua impronta si estende dai centri urbani più densi fino agli ecosistemi più remoti e apparentemente incontaminati del nostro Pianeta, fino in altissima quota e nelle regioni polari. Le montagne, attraverso i ghiacciai che agiscono come "archivi" climatici, stanno rivelando una contaminazione che risale a decenni fa e che si combina con inquinanti del presente.
L’inquinamento dei ghiacciai, nell’epoca del cambiamento climatico che vede una intensificazione dei fenomeni di fusione, rappresenta un rischio concreto per la salute dei corsi d’acqua e del mare. Ne abbiamo parlato di recente con il Prof. Marco Parolini, dell’Università degli Studi di Milano, in occasione della pubblicazione di uno studio condotto sui ghiacciai alpini che ha evidenziato la presenza diffusa di metalli pesanti e di Composti Organici Persistenti (POP), tra cui PCB, DDT e HCB. Queste sostanze, bandite da tempo, sono conservate da decenni nella massa glaciale e possono essere veicolate verso valle dalle acque di fusione. Accanto a metalli pesanti e composti organici persistenti, sta emergendo in maniera sempre più preoccupante la presenza di minuscoli inquinanti policromatici, le cosiddette microplastiche, riscontrate nelle nevi e nei ghiacci di tutto il mondo, dalle vette himalayane ai circoli polari.
Un nuovo tassello, che consente al mondo scientifico di ampliare e dettagliare le conoscenze sulle dinamiche dell’inquinamento atmosferico su scala globale, arriva dall’Artico, dalle nevi e ghiaccio delle isole Svalbard, testimoni del lungo viaggio che le sostanze inquinanti riescono a realizzare, veicolate dalle correnti atmosferiche.
Inquinanti vecchi e nuovi nei ghiacci delle Svalbard
Un gruppo di ricerca coordinato dall’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) di Roma, in collaborazione con l’Università degli studi di Perugia, ha condotto un'analisi dettagliata sulla neve stagionale e sulle carote di ghiaccio superficiali, prelevate tra il 2022 e il 2023 dai ghiacciai Austre Brøggerbreen, Midtre Lovénbreen e Kongsvegen sull’Isola di Spitsbergen, principale isola dell’arcipelago delle Svalbard, che si trova approssimativamente tra 76° e 80° di latitudine Nord, ben oltre il Circolo Polare Artico (66°33' Nord).
I risultati di questi studi, svolti presso la Stazione artica “Dirigibile Italia” del Cnr, a Ny-Ålesund, e pubblicati sulle riviste scientifiche Environmental Research e Journal of Hazardous Materials, rivelano una situazione inattesa e preoccupante.
I ricercatori hanno riscontrato la presenza nel ghiaccio e neve dell’Artico, di contaminanti organici di vecchia e nuova generazione, confermando che il trasporto atmosferico a medio e a lungo raggio è un veicolo chiave per la diffusione di queste sostanze anche negli ambienti più distanti. A sorprendere il team è stato nel dettaglio il fatto che le le concentrazioni degli inquinanti cosiddetti “emergenti” abbiano superato significativamente i contaminanti “storici”.
“Farmaci, prodotti per la cura della persona e composti fenolici (elementi chimici che si generano nei processi di produzione di cosmetici e plastiche, capaci di interferire con il sistema endocrino degli organismi viventi), oltre a essere inquinanti emergenti, non ancora regolamentati a livello internazionale, sono presenti in concentrazioni fino a un ordine di grandezza superiore rispetto ai policlorobifenili e ai pesticidi, un dato quantitativamente inaspettato”, spiega Luisa Patrolecco, ricercatrice del Cnr-Isp e coordinatrice del gruppo di ricerca.
I dati raccolti evidenziano che gli inquinanti “di nuova generazione” stanno entrando rapidamente nei cicli naturali, e in maniera molto significativa. Si sta ripetendo il medesimo meccanismo di trasporto a medio e lungo raggio, con deposizione nella neve e successiva immobilizzazione nel ghiaccio, avvenuto con gli inquinanti del passato, caratterizzati da un tempo di decomposizione molto dilatato.
E la conseguenza dell’arrivo nelle aree polari di inquinanti di origine antropica non è solo rappresentata dall’accumulo di tali sostanze nei ghiacci. L'accelerazione della fusione glaciale, causata dal riscaldamento globale, trasforma i ghiacciai da "depositi" a potenziale "fonte di inquinamento".
“Sappiamo che la neve artica cattura nell’atmosfera i contaminanti che provengono dalle medie latitudini, mentre il ghiaccio agisce come memoria, conservando al suo interno gli inquinanti accumulatisi nel tempo”, prosegue Tanita Pescatore, ricercatrice del Cnr-Isp e autrice della ricerca. “Tuttavia, a causa del riscaldamento globale e della fusione accelerata dei ghiacci, queste sostanze possono essere nuovamente rilasciate nell’ambiente, generando nuovi impulsi di contaminazione negli ecosistemi polari”.
Un appello per la salvaguardia della criosfera
Lo studio del Cnr-Isp e dell'Università di Perugia non si limita alla mera constatazione scientifica, ma lancia un chiaro appello per l'azione politica e normativa.
“L’obiettivo fondamentale di questo tipo di studi è non solo dare un quadro aggiornato dello stato di contaminazione degli ambienti artici, ma anche quello di raccogliere dati cruciali per lo sviluppo di strategie internazionali integrate volte alla riduzione delle emissioni”, commentano le ricercatrici.
L'urgenza è acuita dal fatto che molti degli inquinanti emergenti rilevati non sono ancora regolamentati da normative ambientali specifiche a livello globale. Per proteggere efficacemente l'Artico, la sua criosfera e, di conseguenza, l'equilibrio climatico terrestre, è necessario un coordinamento globale che riconosca e agisca su queste nuove e vecchie minacce chimiche.