Oceano Artico - Foto SentinelHub -Wikimedia Commons, CC BY 2.0
Oceano Artico - Foto U.S. Geological Survey from Reston, VA, USA - Wikimedia Commons, Public Domain
Tramonto artico - Foto Pablo Clemente-Colon - NOAA Photo Library: arct0337 - Wikimedia Commons, Public Domain
Oceano Artico - Foto Patrick Kelley - Wikimedia Commons, CC BY 2.0L'Artico è la regione del nostro Pianeta che si sta riscaldando più rapidamente e riuscire a prevedere cosa accadrà nel prossimo futuro, non risulta semplice. Per disegnare scenari quanto più plausibili, gli scienziati hanno infatti bisogno di conoscere il passato, di viaggiare nel tempo e ricostruire la storia climatica della regione.
A differenza dell’Antartide, dove l’estrazione di carote di ghiaccio continue o il recupero di “istantanee climatiche” conservate nel ghiaccio blu, consentono di ricostruire l’evoluzione della calotta polare, nell’estremo nord del Pianeta la situazione si complica.
L’Artico non è infatti un continente, coperto da una vasta e profonda calotta glaciale terrestre, ma una regione estesa oltre la linea del Circolo Polare Artico (latitudine 66°33’N), composta dall'Oceano Artico, in gran parte coperto da ghiaccio marino galleggiante, e da terre emerse, come la Groenlandia, le isole canadesi e russe, e porzioni di Nord America ed Eurasia.
La classica metodica della estrazione di carote di ghiaccio può essere applicata solo in parte, per ricostruire il passato climatico dell’Artico. Per studiare l’evoluzione dei ghiacci che ricoprono l'Oceano Artico, in parte in modalità perenne e in parte stagionale, si deve guardare al fondale marino, analizzando i sedimenti che si sono accumulati nel corso del tempo. Ma quali sedimenti?
Una ricerca di recente pubblicazione sulla rivista scientifica Science, dimostra quanto utile, nel ricostruire la storia del ghiaccio marino dell'Artico, sia la polvere cosmica.
Com'è cambiato il ghiaccio marino dell'Artico? La risposta dalle stelle
La superficie terrestre è costantemente bombardata da una sottile polvere cosmica, residuo di esplosioni stellari e collisioni tra comete e asteroidi. Questa polvere cade a un ritmo regolare e, nelle aree marine libere dal ghiaccio, si deposita nei sedimenti oceanici. Laddove il mare sia ricoperto da ghiaccio, questo agisce come un coperchio, impedendo la sedimentazione delle polveri sul fondale.
Per identificare la presenza nei sedimenti marini di questa "polvere spaziale”, un team di ricercatori statunitensi, ha misurato la concentrazione di un raro isotopo, l’elio-3, che si accumula nella polvere cosmica durante il suo passaggio vicino al Sole e risulta assente nei detriti di origine terrestre.
Analizzando carote di sedimenti prelevate da tre diversi siti, rappresentativi del gradiente di copertura di ghiaccio marino che caratterizza oggi l’Artico – da perenne a stagionale - gli studiosi sono riusciti a ricostruire 30.000 anni di storia.
Come testimonia la quasi assenza di elio-3 rilevata nei sedimenti più antichi, durante l'Ultima Glaciazione (circa 20.000 anni fa) il ghiaccio marino fu presente in maniera perenne nell'Artico. Terminata la glaciazione, attorno a 15.000 anni fa, i ghiacci cominciarono a ritirarsi, raggiungendo una copertura stagionale (con fusione estiva) nella fase calda di inizio Olocene, seguita da una fase di espansione del ghiaccio marino nel Tardo Olocene, periodo caratterizzato da un progressivo raffreddamento globale .
Lo stretto legame tra ghiaccio marino e vita
Lo studio ha inoltre evidenziato una stretta correlazione tra andamento della copertura di ghiaccio marino e disponibilità di nutrienti nelle acque dell'Artico. I ricercatori hanno analizzato i minuscoli gusci di organismi marini, chiamati foraminiferi, che si nutrono di azoto. L'analisi chimica dei gusci ha rivelato un aumento del consumo di nutrienti in caso di presenza ridotta o assenza di ghiaccio, e una diminuzione in caso di accumulo di ghiaccio marino.
Questa scoperta è cruciale per i decenni a venire. "Con la futura riduzione del ghiaccio, ci aspettiamo un aumento del consumo di nutrienti da parte del fitoplancton nell'Artico, con conseguenze sulla rete alimentare", ha affermato Frankie Pavia, professore di oceanografia presso l'Università di Washington e primo autore dell'articolo.
La ragione alla base di tale correlazione è ancora da definire. L’ipotesi più accreditata è che la scomparsa del ghiaccio marino aumenti la disponibilità di nutrienti, favorendo la fotosintesi da parte degli organismi di superficie. Una seconda teoria sostiene che la fusione dei ghiacci possa determinare una diluizione dei nutrienti.
Oggi, a causa del riscaldamento antropogenico, il ghiaccio marino dell'Artico è diminuito di oltre il 42% dal 1979. E i modelli climatici indicano che potrebbero presto verificarsi estati prive di ghiaccio. Il venire meno dell'effetto “coperchio”, avrà diverse conseguenze: una accelerazione del riscaldamento, dovuta a una diminuzione dell’effetto albedo, ovvero di riflessione dei raggi solari, da parte della superficie del mare, e un aumento del consumo di nutrienti da parte del fitoplancton, con conseguenze significative per l'intera catena alimentare e la produttività marina della regione.
Come dichiarato da Pavia, riuscire a definire tempistiche ed evoluzione spaziale della copertura di ghiaccio marino nel futuro, “ci aiuterà a comprendere le dinamiche del riscaldamento, a prevedere i cambiamenti che avverranno nelle reti alimentari e nella pesca e a prepararci a cambiamenti geopolitici".