Baù: "Sulla nord-ovest della Civetta ho trovato la mia casa verticale"

A un secolo dall'apertura della Solleder-Lettenbauer, l'alpinista padovano racconta quel giorno in cui il caso lo portò al cospetto della "parete delle pareti", di cui sarebbe diventato il massimo conoscitore. Pochi giorni fa l'apertura di "Pilastro Renato", dedicato a De Zordo, il gestore del rifugio Coldai appena scomparso. Perché scalare una montagna è un atto di consapevolezza che passa dalla conoscenza del passato, come spiegherà ai ragazzi dell'Eagle Team.

In un ipotetico libro intitolato “Tutti gli uomini della Civetta”, Alessandro Baù occuperebbe un posto recente ma di grande importanza: ad oggi si può considerare uno dei massimi conoscitori di questa montagna delle Dolomiti Bellunesi, situata tra la Val di Zoldo e l’Agordino, 3220 metri come quota massima, dal 2009 diventati Patrimonio dell’Umanità. 

La sua imponente Parete Nord-Ovest cento anni fa divenne il “Regno del sesto grado”, come lo definì Domenico Rudatis, in seguito alla Diretta sulla Nord-Ovest di Emil Solleder e Gustav Lettenbauer, realizzata il 7 agosto 1925. 

In occasione di questo anniversario è uscita a fine luglio una nuova guida dedicata proprio alla “parete delle pareti”, 1100 metri di dislivello su roccia difficile, scritta a quattro mani con Luca Vallata: Civetta Nord-Ovest (pp. 480, 38 euro, Idea Montagna 2025). Una guida “lenta” che raccoglie e supera i lavori precedenti, parlando a chi vuole prendersi il tempo non solo di leggere relazioni tecniche, ma anche di imparare la storia e le storie che ogni via aperta lì si porta dietro. Ce ne sono 78 e qualcuna è stata scritta sulla roccia dallo stesso Baù, padovano del 1981 che oggi vive sui Colli Euganei con la moglie Claudia e la figlia Viola, diventato guida alpina dopo un passato da pallanuotista, ingegnere freelance e Accademico del CAAI. In Civetta ha aperto Chimera Verticale, Colonne d’Ercole e Zuita Patavina, ha effettuato tre prime invernali, sei prime ripetizioni e bivaccato 33 volte in parete.

Lo abbiamo intercettato all’indomani dell’apertura di una nuova linea in Nord-Ovest: Pilastro Renato, la via dedicata a Renato De Zordo, storico gestore del Rifugio Coldai, morto a 91 anni proprio il giorno di uscita della guida. 

 

Alessandro Baù, cosa ti lega alla Civetta? 

Come scrivo nella prefazione, ho conosciuto la Nord-Ovest per una casualità. Dovevo andare a fare la ferrata degli Alleghesi con mio fratello, ma era brutto tempo, avevo appena dato un esame all’università, quindi ero abbastanza stanco. Allora ho deciso di rilassarmi due giorni al Tissi invece che al Torrani. E passando sotto la parete per raggiungere il rifugio, per la prima volta ho visto da vicino la Nord-Ovest che avevo sempre osservato solo dalla valle. La sua verticalità e la sua bellezza mi hanno catturato: la settimana dopo ero a fare la Philipp-Flamm. Poi ho conosciuto Venturino De Bona, gestore del Torrani, un mito nel bellunese, grande frequentatore della montagna, apritore di Nuvole Barocche e W Mexico Cabrones. Siamo stati fra i primi a ripetere queste vie stupende, con un po’ di timore reverenziale: confrontarsi con queste sfide significava entrare in un mondo diverso. È stato bellissimo. Dopo è nata l’amicizia con Valter e Paola, i gestori del Tissi, e per noi frequentare la Civetta è diventato normale. So che a qualcuno fa paura, la Nord-Ovest, però si impara a conoscere.

 

Perché la Nord-Ovest fa paura?

Per fare un paragone, la Marmolada è una parete soleggiata, la Nord-Ovest è ombrosa. Qualcuno pensa che la roccia non sia buona, invece ci sono sezioni di parete bellissime. Ma la differenza più grossa è che in Marmolada c’è una cengia a metà parete che ti permette di uscire su qualsiasi via in cui ti trovi, ti puoi calare e scappare fuori, in Civetta no, è una parete molto più alpina rispetto ad altre.

 

E allora cosa pensi dell’impresa realizzata dai giovani Lettenbauer e Solleder, nel 1925 e con mezzi decisamente più scarsi?

Confesso che per tanti anni ho snobbato quella via, perché pensavo avesse roccia di cattiva qualità, e non fosse abbastanza difficile, per gli standard di adesso, che hanno superato di molto il sesto grado. Poi mi è capitato un giorno di ripeterla con mia moglie Claudia, era una bella giornata di fine ottobre, con la luce perfetta e la temperatura giusta, ed è stata una scoperta meravigliosa. La via è bellissima, ha una logicità incredibile, è stato pazzesco mettersi nei panni di Solleder e Lettenbauer, pensando che l’avevano aperta in giornata cento anni fa. Con il materiale di adesso una salita del genere è alla portata di tanti ma immaginarla e realizzarla cent’anni fa è sconvolgente per la tecnologia dell’epoca. Quindi ho rivalutato completamente questa via e mi sono reso conto del suo valore storico.

 

Solleder-Lettenbauer o Lettenbauer-Solleder?

Spesso la si chiama come Solleder , ma la fessura iniziale è stata salita da Lettenbauer ed entrambi si sono alternati per tutta la scalata nella conduzione della cordata. Quindi, a guardare l’ordine alfabetico dovrebbe essere Lettenbauer-Solleder, ma dal punto di vista mediatico il secondo è più rinomato anche per le altre vie salite in Dolomiti.

 

Quale delle 78 storie che raccontate ti ha ispirato di più?

Le due vie di Venturino De Bona W Mexico Cabrones (aperta in solitaria nel 2001 a Punta Tissi, prima ripetizione di Baù con Enrico Marini nel 2005, NdR), e Nuvole Barocche (aperta da De Bona con Piero Bez nel 1999, prima ripetizione di Baù con Alessandro Beber, 2007, NdR), perché ci hanno introdotto nel mondo della Nord-Ovest. 

 

La via a cui sei più affezionato?

Colonne d’Ercole, aperta con Alessandro Beber e Nicola Tondini (progetto realizzato fra il 2009 e il 2012, con difficoltà fino al IX, NdR), perché capita poche volte nella carriera alpinistica di avere la fortuna di aprire una via così bella, così importante e aderente all’etica che hai in mente. Nel nostro alpinismo ha rappresentato un passo in avanti, ma dopo ho perso un po’ di interesse nei confronti della Nord-Ovest, perché quando dedichi così tanto tempo, sforzi, energie a qualcosa che hai in testa e poi lo completi, è difficile trovare lo stimolo e qualcosa di nuovo di pari livello. E siccome l’alpinismo al 50% è fatto di testa e non di fisico, nel momento in cui ti viene a mancare la testa senti che c’è qualcosa che non va. Però è stata una grandissima soddisfazione aver fatto una via bellissima che a oggi ha visto ripetizioni di cordate internazionali. Rappresenta un momento fondamentale nel mio rapporto con la Civetta.

 

Come avete diviso il lavoro tu e Luca Vallata?

Luca ha curato di più la parte di storia dell’alpinismo, visto che è laureato in matematica ma è un appassionato di storia, tanto che la sta studiando ora all’Università di Venezia, oltre a essere guida alpina. Io mi sono occupato di più della parte tecnica di schizzi, tracciati e foto. Lavorare a quattro mani con lui è stato davvero bello, ha funzionato perfettamente e lo dimostrano anche i tanti riscontri positivi arrivati finora.

 

Come nasce Pilastro Renato?

È una nuova via che avevamo iniziato l’anno scorso, Tondini ed io, poi quest’anno si è aggiunto anche Alessandro Beber! L’abbiamo chiamata così per una serie di coincidenze. L’abbiamo finita di aprire il giorno in cui è uscita la guida, che è lo stesso in cui ci ha chiamato Valter, gestore del Tissi, per comunicarci che purtroppo era morto Renato De Zordo, per 45 anni gestore del Coldai con la moglie Enza. Inoltre la via sale parallela, appena a destra alla Via Eliana che è la figlia di Renato e di Enza, mancata in Patagonia nel 1990. 

 

Oltre alla guida appena uscita, è in preparazione un film per la regia di Emanuele Confortin, realizzato anche col contributo del CAI, ci anticipi qualcosa?

Il film sarà proiettato in anteprima alla festa della Solleder-Lettenbauer il 27 settembre. Protagonisti sono gli alpinisti che hanno segnato la storia della Solleder: Marcello Bonafede e Roberto Sorgato raccontano la prima grande invernale, Manrico Dell’Agnola i tempi delle solitarie, Diego Dellai, Marco Toldo e Nicola Bertoldo le recenti ripetizioni invernali. Si traccia un percorso avendo come filo conduttore tutte le grandi avventure sulla Solleder-Lettenbauer. Inoltre, ci siamo io e Beber che ripetiamo la via, insieme a Confortin per le riprese e Lorenzo Bellenzier, figlio del gestore del Tissi, la guida Marco Bergamo e il fotografo Matteo Pavana. C’è anche una parte di ricerca storica e di interviste ai gestori dei rifugi, Venturino De Bona. Insomma, c’è tutta la storia della Parete Nord-Ovest, in cui la Solleder rappresenta il focus, ma non si esaurisce lì.

 

Anche quest’anno collaborerai con il progetto CAI Eagle Team, con un ruolo più importante di coordinatore del gruppo del gruppo orientale. Cosa vorresti trasmettere?

Ci tengo moltissimo perché è un progetto di cui c’è tanto bisogno e che perfezioneremo ancora di più. Oggi in Italia si è sviluppata molto l’arrampicata in palestra a scapito dell’attività alpinistica. Sarà bello poter trasmettere ai giovani un solido bagaglio di esperienze affinché anche loro possano costruire il proprio modo di andare in montagna, consapevoli di quello che fanno. 

 

Perché ce n’è così bisogno?

Faccio un esempio: sulla Nord-Ovest della Civetta nei giorni scorsi, anche nelle giornate più belle, a scalare c’era pochissima gente perché in pochi la conoscono davvero. C’è bisogno di portare cultura alpinistica, anche per una questione etica: non si può andare in montagna pensando di portare il proprio alpinismo senza essersi confrontati con chi è venuto prima. Anche noi in Civetta abbiamo fatto così: l’abbiamo frequentata, abbiamo ripetuto le vie precedenti entrando nello stile del luogo e poi abbiamo creato le nostre con consapevolezza.