Carlos Soria, 86 anni sul Manaslu: tra prestazione e lucidità

A 86 anni Carlos Soria raggiunge la vetta del Manaslu, usando ossigeno dal campo III e scendendo in elicottero. Corretto parlare di impresa?

Il 26 settembre 2025, poco dopo le cinque del mattino locali, l'alpinista spagnolo Carlos Soria ha raggiunto la cima del Manaslu (8163 metri), diventando l’alpinista più anziano a salire un Ottomila. Ma la sua realizzazione, come lui stesso ha sottolineato, “Al di là delle sfide sportive superate con il raggiugimento della cima, è stata un’esperienza appassionante, dal grande valore umano ed emotivo”.

 

La salita in vetta

La salita è stata una maratona di resistenza e volontà. Tutto è iniziato dal campo II, a 6400 metri, da dove Soria e il suo team si sono diretti verso il campo III (6800 m). Qui hanno sostato solo poche ore per recuperare un po’ di energie, prima di ripartire nel tardo pomeriggio, intorno alle 16:30, senza fermarsi al campo IV. Li attendeva un lunghissimo sforzo notturno di circa dodici ore. Con le prime luci dell’alba, verso le cinque del mattino del 26 settembre, “il sogno si è avverato” e il gruppo ha raggiunto la vetta del Manaslu (8163 m). Come si vede dalla foto di vetta Soria ha raggiunto la vetta facendo uso di bombole di ossigeno a partire da campo 3.

Al suo fianco c’erano Mikel Sherpa, Nima Sherpa, Phurba Sherpa, il cameraman Luis Miguel Soriano e, dal campo base, il supporto di Pedro Mateo. Un gruppo compatto e affiatato che ha condiviso ogni passo. “Con le prime luci dell’alba tutto il team è arrivato in cima” ha ricordato Soria.

Ricordiamo che la sua intenzione non era solo l’impresa sportiva: cinquant’anni dopo la prima spedizione spagnola su un Ottomila, a cui lui stesso partecipò, Soria ha voluto rendere un tributo intimo e personale a quella memoria collettiva. “Cinquanta anni dopo la prima ascensione spagnola a un Ottomila ho reso il mio personale ed emozionante omaggio a tutti i compagni del Manaslu 1975”, ha dichiarato.

 

La discesa

Il rientro non è stato privo di difficoltà. Tra il campo IV e il campo III, nei tratti più ripidi e tecnici, le gambe già segnate da vecchie fratture al Dhaulagiri e la protesi al ginocchio hanno reso il cammino doloroso e rischioso. “È stata una vera prova di sacrificio e resistenza” ha ammesso. Proprio per questo, al campo III, ha preso la decisione di farsi evacuare in elicottero. “Ho preso la decisione migliore per non mettere a rischio la mia integrità né quella dei miei compagni, ha spiegato. “Sapere quando ritirarsi è anch’esso parte del successo”.

Nel messaggio diffuso al termine della spedizione, l’alpinista ha voluto ringraziare chi lo ha seguito da lontano: “Vogliamo ringraziare, molto sinceramente, tutti voi che siete stati lì, sostenendoci con il vostro incoraggiamento. Quella forza ed energia sono state decisive per poter compiere ognuno dei passi che ci hanno portato fino alla cima del Manaslu”.

La spedizione di Carlos Soria non è soltanto una bella pagina di alpinismo, ma anche un’occasione per riflettere sui confini, sempre più sfumati, dell’etica himalayana. L’uso delle bombole di ossigeno a partire da campo 3 e la scelta di scendere in elicottero, se da un lato possono sembrare agevolazioni rispetto all’alpinismo più puro, dall’altro rappresentano strumenti per garantire la sicurezza e la vita stessa degli alpinisti.

In una montagna come il Manaslu, a 8163 metri, e a 86 anni di età, l’impresa di Soria non perde valore per questo. Al contrario, dimostra che l’alpinismo può essere anche lucidità, responsabilità, capacità di valutare i propri limiti e proteggere il gruppo. Forse qualcuno avrebbe preferito che completasse la discesa a piedi, o senza ossigeno, per una sorta di coerenza “assoluta” (io per primo). Ma sarebbe stato giusto rischiare la vita per una bandiera etica? Personalmente, anche se con un po' di rammarico, credo che Soria abbia fatto bene. L’ossigeno e l’elicottero non cancellano la sua storia, né tantomeno la forza psicologica necessaria a tentare un Ottomila a quell’età. Anzi, mostrano un altro lato dell’alpinismo: Soria ha misurato i propri limiti, ha valutato la sicurezza del gruppo e ha preso decisioni coerenti con le circostanze. Non c’è retorica, né eroismo fine a sé stesso: c’è un alpinismo che sa anche rinunciare, senza perdere la dignità della realizzazione.