Cattedrale Grande, 1975: gli italiani scoprono le big wall del Karakorum

Nel 1975 una spedizione italiana salì per la prima volta la Cattedrale Grande del Baltoro, nel Karakorum pakistano. L’impresa segnò l’inizio dell’esplorazione tecnica delle grandi pareti di granito extraeuropee.
In salita sulla parest sud-est © Archivio Ragni di Lecco

Nel 1975 l’alpinismo mondiale era a un bivio. Da un lato le grandi spedizioni himalayane tradizionali, come quella diretta alla parete sud del Lhotse, l’ultima grande spedizione nazionale del CAI, che purtroppo si concluse in un nulla di fatto. Dall’altro il nuovo stile leggero e veloce, incarnato da Messner e Habeler sul Gasherbrum I, primo 8000 salito in stile alpino.

Mentre questi eventi catalizzavano l’attenzione, qualcosa di meno noto ma altrettanto rivoluzionario stava prendendo forma tra le pareti meno elevate - ma tecnicamente complesse - del Karakorum.

Il cambiamento era guidato da una nuova generazione di alpinisti attratti non più solo dalla conquista delle cime, ma dallo stile di salita. Come scrisse Alex MacIntyre: “la parete era l’ambizione e lo stile divenne l’ossessione”. Questo nuovo approccio avrebbe trovato la sua consacrazione nel 1976 con la salita della ovest del Changabang da parte di Boardman e Tasker: una spedizione composta da soli due scalatori, diretti a una parete splendida, selvaggia e mai salita prima di allora. Ma già l’anno precedente, un gruppo di italiani aveva anticipato questa rivoluzione.

 

Gli scopritori delle big wall

Tutto iniziò a Lecco, in seno alla sottosezione CAI di Belledo, punto di riferimento di tanti giovani talenti del sempre ben fornito vivaio degli scalatori nati all’ombra delle Grigne, molti dei quali facevano parte dello storico gruppo dei Ragni. In un clima di fermento, l’organizzazione di serate e conferenze portava in città le visoni innovative dei nuovi campioni dell’alpinismo internazionale, come l’allora giovanissimo Reinhold Messner. Fu così che nacque un’idea audace: affrontare le imponenti torri granitiche del Baltoro, finora per lo più ammirate solo come quinte scenografiche lungo il trekking verso gli Ottomila.

Messner stesso suggerì la meta: le guglie all’ingresso del ghiacciaio del Baltoro, fra cui spiccava la Torre Grande di Trango, allora ancora inviolata. Il progetto prese rapidamente forma: una spedizione giovane, ambiziosa, fondata sull’alpinismo tecnico e di gruppo. I protagonisti erano ragazzi sotto i trent’anni, alcuni già esperti di spedizioni extraeuropee, come Daniele Chiappa, Ernesto Panzeri, Giuseppe Lafranconi e Gianluigi Lanfranchi, reduci dalla sfida vinta al Cerro Torre nel 1974. Con loro altri scalatori che avevano già dato prova delle proprie capacità confrontandosi con le vie più difficili delle Alpi. I nomi sono quelli di Benvenuto (Ben) Laritti, Carlo Duchini, Amabile Valsecchi, Pierino Maccarinelli, Sergio Panzeri, Giacomo Stefani. Completavano il gruppo Arnaldo Colombari, il medico Alberto Sironi e il capo spedizione Giulio Fiocchi.

Sulla cresta di sud-ovest © Archivio Ragni di Lecco

La doccia fredda della burocrazia, e la Cattedrale Grande del Baltoro

Ma, a poche settimane dalla partenza, ecco la doccia fredda: il governo pakistano negò il permesso per la Torre di Trango, concedendo solo l'accesso alla Cattedrale Grande del Baltoro, seconda scelta degli italiani. Dopo la delusione iniziale, il fascino austero di questa parete inviolata, 1500 metri di granito purissimo fino a quasi 6000 metri di quota, prese presto il sopravvento.

Il 31 maggio 1975 la spedizione parte da Lecco. A metà giugno il campo base è montato ai piedi della Cattedrale, a 3900 metri. Fin da subito emergono due visioni contrastanti: quella del capo spedizione Fiocchi, orientata alla vetta tramite la cresta sudovest in stile tradizionale, e quella di alcuni giovani, affascinati dalla parete sudest, ideale per una salita tecnica in stile alpino.

Prevale inizialmente l’approccio classico. La squadra inizia l’assalto allo sperone sud-sudovest, con difficoltà costanti (IV e V grado), corde fisse e due campi d’alta quota. Ma il maltempo blocca l’avanzata e riapre il dibattito: è questo l’alpinismo che sognavano?

Fiocchi prende allora una decisione coraggiosa: lascia carta bianca ai più giovani per tentare la parete sud-est, pur mantenendo attivo il tentativo di vetta sulla cresta. Nascono così due cordate. La prima, con Laritti, Lafranconi, Lanfranchi, Valsecchi ed Ernesto Panzeri, prosegue verso la cima lungo la cresta. La seconda, con Chiappa, Maccarinelli, Stefani, Duchini e Sergio Panzeri, si dirige verso la parete sud-est con mezzi limitati e stile leggero.

La cresta si rivela una lunga lotta tra neve marcia, ghiaccio e cornici instabili. La parete sud-est, invece, è un gioiello verticale: 40 tiri su granito eccellente, fino al VI grado in libera e A3 in artificiale, con solo 150 metri attrezzati con corde fisse e scalette metalliche. Dopo sei giorni di scalata, l’8 luglio, la cordata raggiunge il termine della sezione verticale e si cala, senza raggiungere la cima, ma firmando una via d’eccezione per concezione, tecnica e stile.

Il 10 luglio tocca invece alla squadra sulla cresta completare l’ascensione fino alla vetta della Cattedrale Grande. Due risultati straordinari: una cima conquistata e una grande parete verticale salita in bello stile.

Quella spedizione, rimasta a lungo in ombra rispetto ad altre più celebri, fu uno splendido annuncio delle imprese che, nei decenni successivi, avrebbero dato nuovo slancio e nuovi sogni all’alpinismo, focalizzando l’attenzione dei migliori scalatori del mondo sulle gigantesche pareti di granito d’alta quota che fanno da corona ai colossi dell’Himalaya e del Karakorum.