Cesare Maestri: il ragno ribelle delle Dolomiti

Cesare Maestri, alpinista geniale e controverso, ha rivoluzionato l'arrampicata con audacia, provocazione e innovazione tecnologica.

Cesare Maestri da giovane

Cesare Maestri nasce a Trento il 2 ottobre 1929 da una famiglia di attori. Dotato di grande empatia e perennemente acceso dallo spirito di provocazione, troppo umano per tacere, troppo generoso per tirarsi indietro, diventerà uno degli alpinisti più amati e contestati del Paese, bersaglio di critiche e accuse di menzogna dopo la discussa prima salita del Cerro Torre del 1959, firmata senza prove né testimoni in seguito alla morte di Toni Egger nella bufera patagonica. Cesare tornerà sul Torre undici anni più tardi con il compressore, aprendo una via fantascientifica e imperfetta, umiliando la moderazione e il moralismo, sollevando altre grida di ammirazione e riprovazione. Lui era fatto così.

 

Lo strapiombo rosso alla Roda di Vael

Ma torniamo agli anni Sessanta. L’anno dopo la presunta scalata del Grido di pietra, nel giugno del 1960 Maestri affronta con chiodi normali e a pressione lo strapiombo rosso della Roda di Vael:

“Alle 8 comincio a salire, un chiodo, una staffa, un altro chiodo, un’altra staffa. Tutti gli undici anni della mia carriera alpinistica mi vengono in aiuto su questa parete. Questa dovrà essere la vittoria della tecnica. Non ci saranno improvvisazioni, voli o tentennamenti. Vinceremo con la nostra volontà e con la nostra tecnica… Continuo a chiodare e a rubare alla parete centimetro su centimetro. Alle 17 mi sono alzato soltanto di circa trenta metri, mentre il mio compagno non si è nemmeno mosso dal terrazzo dove abbiamo bivaccato…”.

Il Ragno delle Dolomiti è un grande scalatore anche senza i mezzi artificiali, ma la tecnologia lo attrae perché rappresenta la sfida e la negazione della gravità. Un’idea di futuro. Il più famoso scalatore delle Dolomiti del secondo dopoguerra è capace di gettare la corda nel vuoto dalla vetta del Crozzon di Brenta per scendere slegato e solo la mitica via delle Guide – sesto grado – ed esattamente come Paul Preuss, con rigoroso atto di fedeltà verso l’arrampicata libera, sostiene e dimostra che il vero rocciatore sa muoversi nei due sensi di marcia: salita e discesa. Ma Cesare è innanzitutto un provocatore e il sovvertitore nato di ogni regola imposta, e la prima risposta non gli basta mai. Siccome non c’è il sole senza la luna, decide di cimentarsi anche nella scalata artificiale estrema, che è l’altra faccia della moneta. Da acrobata della vita affronta il diritto e il rovescio dell’arrampicata. Con spirito teatrale e ribelle raccoglie il guanto di sfida delle direttissime sulle pareti di dolomia gialla e aggettante, dove gli “innovatori” al tempo degli elettrodomestici dominano la gravità a forza di martelli, punteruoli, chiodi a pressione e scalette, tessendo di giorno la loro tela di ragno e riposando sulle amache di notte, appesi nel vuoto.

 

Il tempo delle direttissime

Come ogni pezzo di storia, il fenomeno delle direttissime dolomitiche va collocato storicamente. Finita la guerra, passata la sbornia patriottica delle spedizioni himalayane e quasi chiusa la corsa ai quattordici ottomila (il primo scalato è l’Annapurna nel 1950; l’ultimo lo Shisha Pangma nel 1964), gli esploratori della verticale temono di avere esaurito i terreni disponibili. Il miracolo economico, paradossalmente, coincide con la crisi dell’esplorazione alpinistica. Dunque si punta sulla tecnologia e ci si rivolge agli strapiombi assenti sulle mappe zenitali, tracciando delle verticali astratte che non rispondono alla logica ma alla geometria. E allo spettacolo. Forando la roccia si può tirare dritto quasi ovunque, anche dove mancano i punti deboli e le fessure naturali, stupendo il mondo e sé stessi almeno per un giorno.