Sistema Recco in uso su un elicottero
Trasmettitore RECCO portatile in dotazione a una squadra di terra
Trasmettitore RECCONegli ultimi giorni si è molto parlato del sistema RECCO. Questa parola ha fatto la sua comparsa su tutti i maggiori media italiani e internazionali che hanno trattato dei recenti tragici avvenimenti che hanno interessato l'Himalaya nepalese, alcuni ancora in corso. Ma al di là delle notizie di cronaca, vale la pena capire davvero come funziona questo sistema, spesso citato ma non sempre spiegato con chiarezza.
Il RECCO non è una novità assoluta: si tratta di una tecnologia sviluppata in Svezia negli anni Settanta e oggi usata in molti Paesi, Italia compresa, come strumento di supporto per i soccorsi in ambiente montano. Si tratta di un dispositivo di ricerca, impiegato dai tecnici del soccorso per individuare persone disperse.
Come funziona?
Il principio è relativamente semplice, anche se la tecnologia alla base è sofisticata. Il sistema RECCO si compone di due parti: un riflettore e un rilevatore.
Il riflettore è un piccolo dispositivo passivo, cioè senza batterie e senza necessità di attivazione. È costituito da un’antenna e da un circuito elettronico che può essere cucito dentro un capo tecnico, integrato in un casco, uno scarpone o uno zaino. La sua funzione è quella di “rispondere” a un segnale radio. Dall’altra parte c’è il rilevatore, lo strumento usato dai soccorritori. Questo emette un’onda radar direzionale, che si può immaginare come un fascio invisibile di energia elettromagnetica. Quando questo segnale incontra un riflettore, il piccolo circuito interno del riflettore lo rimanda indietro, raddoppiando la frequenza. Il rilevatore capta il segnale di ritorno e lo traduce in un suono o un’indicazione di direzione, consentendo all’operatore di capire dove si trova la persona.
In pratica, il soccorritore scandisce l’area di ricerca muovendosi lentamente o, nel caso di sistemi montati su elicottero, sorvolando il terreno in corridoi paralleli. Quando riceve un segnale di ritorno, ne verifica la forza e la direzione, e restringe progressivamente la zona fino alla localizzazione del punto preciso.
Le prestazioni variano a seconda delle condizioni: con i rilevatori portatili la portata può arrivare fino a circa 80 metri in aria e 20–30 metri nella neve compatta. I modelli montati su elicottero, invece, permettono di coprire aree molto più ampie in poco tempo (anche un chilometro quadrato in pochi minuti) e sono utili non solo per le valanghe, ma anche per le ricerche di persone disperse in boschi o altre aree impervie.
Rileva solo i riflettori?
Un aspetto interessante, ma spesso poco noto di questa tecnologia è che può rilevare anche oggetti metallici o elettronici, non solo i riflettori appositi integrati nei capi tecnici. Questo accade perché il segnale radar emesso dal rilevatore può “rimbalzare” su superfici conduttive, come parti metalliche, telefoni cellulari, fotocamere o chiavi, restituendo un’eco che lo strumento è in grado di percepire. Si tratta ovviamente di un effetto secondario e molto meno affidabile rispetto a quello garantito dai riflettori veri e propri. Gli studi tecnici e i test condotti, come riportato anche dal Bureau d’Enquêtes et d’Analyses francese, mostrano che il segnale di ritorno da un oggetto metallico è spesso debole, frammentario e fortemente dipendente dall’orientamento dell’oggetto rispetto al rilevatore. In alcuni casi la riflessione avviene solo grazie a combinazioni fortunate di superfici metalliche vicine, mentre in altri non viene captata affatto. In sostanza, quindi, è vero che il RECCO può “vedere” anche il metallo, ma non lo fa in modo costante o prevedibile: è un effetto collaterale. Per questo motivo solo il riflettore RECCO, calibrato per rispondere alla frequenza del rilevatore, garantisce una risposta efficace e riconoscibile ai soccorritori.
Funziona in qualunque condizione?
Naturalmente, il sistema ha anche dei limiti. Se la persona dispersa non ha un riflettore, o se il riflettore è schermato da materiali che assorbono il segnale (come neve molto bagnata o acqua), la rilevazione diventa difficile. Inoltre, non essendo un dispositivo “attivo”, il RECCO non consente di segnalare la propria posizione: è un aiuto per chi cerca, non per chi viene cercato. Per questo si evidenzia sempre come questo dispositivo vada considerato un’integrazione, non un sostituto dei classici strumenti di sicurezza come ARTVA, pala e sonda, parlando per l'ambiente invernale.
Nonostante questi limiti, il sistema si è rivelato un valido alleato in diverse situazioni di emergenza. La sua semplicità di gestione (nessuna batteria, nessuna attivazione) fa sì che molti capi tecnici moderni integrino già una piastrina RECCO, spesso senza che chi li indossa ne sia pienamente consapevole. In caso di incidente, quel piccolo componente può però fare la differenza, riducendo i tempi di localizzazione e permettendo ai soccorritori di intervenire più rapidamente.
In sintesi questo sistema funziona come un radar che “dialoga” con minuscoli riflettori passivi indossati dalle persone. Non garantisce da solo il ritrovamento, ma aggiunge un tassello importante nella complessa catena dei soccorsi in montagna, dove la tecnologia può essere un aiuto prezioso, ma resta fondamentale la preparazione, la prudenza, la formazione e il rispetto dei propri limiti.