Come leggere una guida: le scale di difficoltà nell'escursionismo

Come capire quale itinerario scegliere? Ecco qualche consiglio esperto per orientarsi fra i livelli che tutte le guide riportano e godersi la giornata, senza perdere la voglia di ripeterla, che si vada a piedi o con una bici.
Foto Gabriele Zampieri

Le vacanze (o il week-end) si avvicinano e per un fortunato allineamento astrale riuscirete finalmente a visitare quella zona che sognate da un po’. Mentre già pregustate quell’aria frizzante che solo la montagna regala, vasti panorami su cime magari ancora innevate qua e là, boschi profumati di resina, una sosta nel festoso caos di un rifugio, o più intimi pic nic contemplativi, iniziate a sfogliare la guida nuova di pacca.

Non potete definirvi esperti escursionisti, anche se qualche chilometro lo avete macinato pure voi, nel vostro piccolo, e così per prima cosa andate a controllare la scala di difficoltà dei percorsi che vi colpiscono di più. Perché non sarete guide alpine, ma una cosa l’avete imparata (magari a un corso CAI di escursionismo): per godervi l’uscita l’itinerario deve essere alla vostra portata, sia dal punto di vista tecnico che fisico. Subito dopo penserete a come fare lo zaino, all’abbigliamento da scegliere, all’equipaggiamento che vi serve e, prima ancora, controllerete il meteo: perché pioggia, vento e nebbia possono cambiare tutto all’improvviso e trasformare il facile in difficile, o addirittura drammatico.

Non andrete a ottomila metri, ma l’imperativo alpinistico resta lo stesso: la spedizione, pardon, l’escursione, termina (bene) quando tutti tornano a casa sani e salvi, e possibilmente soddisfatti per aver raggiunto l’obiettivo.

Come leggere allora la scala di difficoltà? Ma ancor prima, cosa rappresenta davvero quella piccola legenda che ogni guida riporta all’inizio, così ovvia e scontata che in pochi si prendono la briga di degnare della giusta attenzione?

 

A cosa serve una scala di difficoltà

Dietro ogni scala di difficoltà c’è un lavoro meticoloso, che segue degli schemi e poi li sintetizza” spiega Alberto Perovani Vicari, direttore della Scuola di Escursionismo e Cicloescursionismo del CAI, ma anche coordinatore del Working Group “Hiking & Trail”, nato un paio di anni fa in seno alla Commissione Alpinismo dell’UIAA. “Una scala di difficoltà non è misurata sul frequentatore, ma sul terreno. Serve a descrivere in maniera oggettivale caratteristiche di un percorso: è uno strumento freddo e distante, che però fornisce informazioni in maniera molto corretta e mirata. Io la paragono sempre al termometro, che ci dice qual è la temperatura, ma non se siamo malati”

Per questonon si usano termini come facile e difficile, che invece spostano la valutazione sul piano soggettivo. Per avere una descrizione più completa è necessario aggiungere altre indicazioni relative alla lunghezza, al dislivello, alle capacità tecniche e così via”. Per esemplificare: può essere T un itinerario con 1500 metri di dislivello, sebbene su terreno facile: per qualcuno di bene allenato non è un problema, altri potrebbero invece ritenerlo “difficile”, anche se non presenta particolari caratteristiche tecniche. 

 

Quante scale esistono?

Di scale ne esistono diverse, oltre a quella italiana che è la scala CAI su tre livelli (T, E, EE), c’è la svizzera, la tedesca, la francese, ma punti di riferimento sono le prime due. Con la differenza che nella scala svizzera i livelli escursionistici, indicati con T, arrivano fino al 6, che prevede una difficoltà tecnica in Italia già considerata alpinistica. 

Da notare che i tre livelli escursionistici italiani sono sì definiti da tre semplici sigle, ma non si fa generalmente caso ai brevi testi descrittivi associati a ciascuna. “La brevità è l’anima dell’ingegno”, per citare Shakespeare, e forse in pochi sanno che quelle poche parole sono scelte con cura e perizia estrema, a far sintesi suprema da pagine e pagine di relazione. “Doppiamente peccato che nessuno ne comprenda l’utilità” esclama Perovani Vicari: “Già solo leggendo la descrizione associata al livello si riuscirebbe a fare una buona autovalutazione. Ma spesso ci si ferma alla lettera, senza nemmeno sapere cosa significa”. 

 

Il valore dell'esperienza e della formazione

Deve essere poi chiarissimo un punto: Con la scala di difficoltà non si va in montagna. L’esperienza è imprescindibile, e in ogni caso bisogna prendere dimestichezza con le indicazioni fornite dalla scala stessa. Significa testarle in ambiente su di sé, sulle proprie capacità, sia fisiche, sia tecniche. 

È importante crearsi un proprio bagaglio di conoscenze, anziché attingere a quello di terzi, altrimenti si finisce solo per essere portati come dei pacchetti su e giù dalle montagne, senza capire bene cosa si sta facendo, nemmeno se lo si fa per tanti anni” chiosa Perovani Vicari, che sottolinea un paradosso: “Avere così tante informazioni a disposizione blocca il proprio accrescimento. Si continuano a chiedere informazioni a terzi, senza maturare le proprie basi”. Ma sul sentiero si è scollegati dalla rete (e non solo perché a volte non c’è campo) ed è bene aver costruito un “proprio database” per cavarsela in autonomia.

Per questo è convinto della bontà della formazione offerta in seno ai corsi di escursionismo CAI: “Impartendo le nozioni di base, facciamo in modo che le prime esperienze non siano traumatiche, e così ne arrivino delle altre, senza bollare l’escursionismo come attività da non ripetere mai più, ma soprattutto che ci sia un processo di interiorizzazione dell’esperienza propria e reale, piuttosto che un continuo rimando a un’esperienza virtuale esterna”. Si impara molto anche seguendo il capogita, “che ti conosce e ti consiglia volta dopo volta, facendoti venire voglia di restituire ad altri le conoscenze apprese in maniera spontanea e si finisce per fare a propria volta formazione”.

Foto Alberto Perovani Vicari.

Attenzioni alle relazioni online

Un tempo il punto di riferimento per volesse avere informazioni su un’escursione erano le guide TCI-CAI. Oggi invece il web fornisce un’infinità di relazioni online, gratuitamente disponibili dal divano di casa. Ma attenzione alla loro attendibilità: “Spesso chi le scrive considera solo il proprio punto di vista, le proprie capacità, anzi, c’è chi tende a sminuire la difficoltà di un percorso perché non vuole confessare di aver fatto fatica su un livello che sembra facile, e chi la esalta per camuffare incompetenza e dunque ha bisogno di farlo sembrare più difficile di quello che è”. Siamo dunque molto distanti da quell’oggettività su cui si fondano le scale di difficoltà ufficiali. Perovani Vicari definisce queste relazioni come “polpette avvelenate” buttate in pasto a escursionisti ignari della loro inutilità.

Per questo la guida cartacea rimane ancora una garanzia. “L’autore di una guida si assume la responsabilità di quanto scrive, soprattutto perché lo ha verificato in prima persona. Online non è detto che sia così, per questo è meglio fare attenzione”. Perché a differenza di altre attività, con l’escursionismo ci possono essere conseguenze serie.

 

La gestione del rischio

L’affidabilità delle fonti consultate dagli escursionisti da anni è all’attenzione di quanti si occupano di gestione del rischio. Al proposito, la regola di base è il famosissimo metodo 3x3 di Werner Munter: prevede una serie di verifiche da effettuarsi in tre fasi e altrettante sottofasi, donde la sua denominazione. La prima in preparazione all’escursione, la seconda durante l’avvicinamento e la terza durante l’attività.

La prima fase prevede la raccolta delle informazioni, fra cui quelle relative al meteo, che è uno dei più importanti fattori di destabilizzazione, insieme a quello umano, che sia in gruppo o meno. “La prima fase del 3x3 tende ad abbattere il rischio residuo dell’attività del 60-70%”, spiega Perovani Vicari. “Ma se le informazioni che reperisco sono di scarso valore, perché attinte da fonti poco autorevoli, il mio rischio globale non si abbatte più del 60% ma del 3%, anche se seguo il 3x3. L’informazione è il carburante che fa funzionare il motore, deve essere di buona qualità, altrimenti quello si ingolfa”.

Cicloescursionismo © Pixabay

E per i cicloescursionisti?

Chi viene dopo parte sempre avvantaggiato” scherza Massimo Tuccoli, presidente della Commissione Centrale per l’Escursionismo e il Cicloescursionismo del CAI e Accompagnatore Nazionale di Cicloescursionismo. La bici come mezzo di frequentazione delle montagne è riconosciuta in seno al Club Alpino Italiano solo da una quindicina di anni, per questo, spiega, la scala di difficoltà relativa è molto più precisa e dettagliata: come si legge nell’apposita sezione del sito CAI, i livelli di difficoltà tecnica, perché l’impegno fisico è dato dal dislivello e dalla lunghezza del percorso, sono 4 (T, MC, BC, OC: dove C sta per capacità tecnica, di livello rispettivamente turistico, buono, medio, buono, ottimo) e vanno indicati sia per la salita, sia per la discesa, separati da una barra (/). La difficoltà tiene conto della media del percorso ed eventualmente si può aggiungere un segno + se sono presenti tratti significativi con pendenze sostenute di difficoltà superiore.

Per ognuno sono inoltre individuati i requisiti minimi di conoscenza tecnica e abilità di guida che il cicloescursionista deve possedere per affrontare quel livello di difficoltà in termini di fondamentali e tecniche di base. 

Questo consente di entrare in un maggiore dettaglio: se per esempio un livello T prevede come requisito base solo la capacità di mantenere una corretta postura e l’uso del cambio e del freno, nell’MC si passa alla capacità di conduzione in passaggi obbligati, di applicazione della tecnica del fuorisella, un minimo di equilibrio e di conduzione attiva, e nel BC a buona conduzione e precisione di guida in passaggi obbligati, discreto equilibrio, capacità di superare ostacoli semplici in piano, in salita e in discesa, capacità di conduzione attiva, e ricerca della massima aderenza in salita su terreno smosso. Fino ad arrivare all’OC in cui i requisiti sono ottimo equilibrio, massima sensibilità, e grande capacità di conduzione attiva, poiché gli ostacoli non sono semplici, ma compositi e bisogna saper applicare diverse tecniche in contemporanea. “Sono come i colori per le piste da sci – dice Tuccoli – se sei alle prime armi dovresti sapere che è meglio evitare di partire da una nera, e qui funziona nello stesso modo”.

Inoltre, nel cicloescursionismo bisogna tenere conto che… c’è la bicicletta! Se dunque restano valide tutte le precauzioni e le procedure adottate per preparare un’escursione, in più dovremo pensare non solo a quello che serve a noi, ma anche a lei. Se infatti il primo consiglio è quello di verificare innanzitutto il livello di difficoltà del percorso, il secondo è “controllare che il mezzo sia adeguato e in ordine” e poi “portarsi sempre appresso un kit base di attrezzi”, spiega Tuccoli, per far fronte a qualsiasi inconveniente che può capitare, come una banale foratura.

Il cicloescursionismo è infatti in grande espansione, anche grazie alla diffusione delle e-bike: “Con la bicicletta si riesce a coniugare sia l’esigenza di godersi il paesaggio, andando piano, ma anche quella di coprire lunghe distanze”, ma attenzione: perché una brutta caduta in bici può avere conseguenze importanti.