Paesaggio alpino © PixabayPensiamo spesso alle Alpi come a un baluardo che da millenni resiste agli agenti atmosferici, al gelo, ai venti. Ma cosa succede se, scavando nel cuore di queste montagne, scopriamo che è stato proprio l’uomo, e non solo il clima, a scolpirne in parte l’aspetto attuale, ben prima della modernità?
È quanto emerge da uno studio internazionale guidato da Julien Bouchez del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) in Francia, pubblicato questa settimana sulla prestigiosa rivista scientifica PNAS. Secondo i ricercatori già 3800 anni fa, in piena Età del Bronzo, l’attività umana cominciava ad alterare in maniera significativa l’equilibrio dei suoli alpini, accelerando l’erosione e modificando il paesaggio in profondità.
Per ricostruire questa storia nascosta i ricercatori si sono concentrati su un grande bacino fluviale a monte del Lago Bourget, tra Savoia e Alta Savoia, in Francia. Qui hanno prelevato e analizzato carote di sedimenti deposti sul fondo dei laghi nel corso di migliaia di anni: strati su strati di detriti minerali, tracce biologiche e DNA ambientale. Come in un libro aperto questi sedimenti raccontano l’evoluzione dei tassi di erosione nelle Alpi occidentali a partire da oltre 10mila anni fa. I risultati sono sorprendenti: per circa 6000 anni, l’erosione era principalmente legata a fattori naturali, come variazioni climatiche e dinamiche glaciali. Ma a partire circa dal 1800 a.C., qualcosa cambia.
L'impatto di agricoltura e allevamento
Gli studiosi hanno individuato un aumento netto e persistente dei detriti trasportati a valle, legato all’impatto crescente delle attività agropastorali. Si trattava, all’inizio, di pascoli in quota, occupati da greggi di pecore e capre che lentamente riducevano la copertura vegetale. Più avanti, soprattutto in epoca romana e medievale, entrano in scena l’aratro, le coltivazioni estensive e il disboscamento: elementi che aumentano ancora di più la fragilità dei suoli.
In effetti, nei secoli successivi, i tassi di erosione si mantengono su livelli molto alti, spesso da 4 a 10 volte superiori rispetto al periodo pre-antropico. Solo eventi eccezionali, come la Peste Nera nel XIV secolo, causano brevi rallentamenti, dovuti all’abbandono forzato dei villaggi montani.
Va però detto che questa storia millenaria è tutt’altro che un semplice fatto archeologico. Ha implicazioni concrete e attuali. Come ricorda lo stesso Bouchez, capire quanto profondamente l’uomo ha modificato l’equilibrio geomorfologico delle Alpi è fondamentale per affrontare le sfide ambientali di oggi: dal degrado del suolo al rischio idrogeologico, fino alla conservazione della biodiversità. Molti suoli alpini, privati da secoli della loro copertura vegetale originaria, faticano oggi a trattenere l’acqua, il carbonio, e a rigenerarsi. E questo li rende più esposti sia agli eventi estremi legati al cambiamento climatico, sia all’azione dell’uomo moderno, che continua – tra impianti sciistici, urbanizzazione e agricoltura intensiva – a premere sui delicati equilibri montani.
In Italia?
Anche se lo studio si concentra sul versante francese delle Alpi, è lecito pensare che dinamiche simili abbiano interessato anche le nostre montagne. In Trentino, in Lombardia, in Valle d’Aosta, numerose ricerche paleobotaniche e sedimentologiche confermano che l’impronta umana sull’ambiente alpino è antichissima. Le cronache geologiche dei laghi alpini italiani raccontano, anch’esse, una storia di erosione accelerata a partire dall’Età del Bronzo, alimentata da deforestazioni e pascoli permanenti.
Queste scoperte che ci ricordano che la nostra relazione con l’ambiente è molto più antica di quanto pensassimo. Non è cominciata con le fabbriche o le autostrade, ma forse con la prima pecora portata in quota, o con la prima zappa affondata in un pendio fertile.