Dalla Valfurva una voce per Confortola: "oltre le polemiche, la sua montagna è esempio di vita"

Riceviamo e pubblichiamo con piacere la lettera di un socio del CAI Valfurva che, con parole appassionate, prende posizione dopo le dure dichiarazioni di Reinhold Messner su Marco Confortola.
Marco Confortola sul K2 © Facebook Marco Confortola

Riceviamo e pubblichiamo con piacere questa lettera inviataci da Valeriano Antonioli, socio della Sezione CAI di Valfurva, che nasce dal desiderio di rendere omaggio alla figura di Marco Confortola dopo le recenti dichiarazioni di Reinhold Messner che ha parlato di Confortola con parole dure e senza usare mezze misure. L’autore della lettera offre una testimonianza intensa che va oltre la polemica, e tiene a ricordare il valore umano, sportivo e culturale di Confortola e il segno che la sua storia ha lasciato nel mondo della montagna.

 

Gentile direttore,

ho letto con sorpresa e amarezza le recenti parole di Reinhold Messner nei confronti di Marco Confortola. Nessuno può mettere in discussione la grandezza di Messner e ciò che ha rappresentato per l’alpinismo, ma credo sia doveroso ricordare anche la straordinaria storia di Marco.

Conosco Marco da quando è nato: come lui sono originario della Valfurva e, da membro del CAI, ho potuto seguirne negli anni le imprese umane, sportive e di soccorso alpino. La sua vita è sempre stata intrecciata alla montagna, vissuta non come una gara di record ma come scuola di lentezza, consapevolezza e rispetto. La sua filosofia di “slow mountain” ha ispirato molti di noi.

Nel 2008, sul K2, Marco ha conosciuto il lato più tragico dell’Himalaya: ha perso undici compagni di salita e ha subito il congelamento totale dei piedi. A seguito di quell’incidente gli sono state amputate tutte le falangi, passando da una scarpa numero 43 a una 36 per entrambe. I medici dissero che non avrebbe più camminato normalmente. Dove molti si sarebbero fermati, lui ha trovato la forza di ricominciare: con sudore, fatica e resilienza è tornato prima a camminare, poi a scalare, fino a raggiungere – una dopo l’altra – tutte le quattordici vette oltre gli ottomila metri.

Ed è qui che sta, a mio avviso, il suo più grande successo: essere riuscito, nonostante l’handicap fisico, nel corso di più di vent’anni, a realizzare il suo grande sogno, ovvero arrivare in cima a tutte le vette degli Ottomila. Diventando così – credo – un esempio straordinario di resilienza, volontà e caparbietà.

Negli anni, accanto alle sue spedizioni, Marco ha contribuito con generosità anche al soccorso alpino e alla diffusione della cultura della montagna, raccontandola come palestra di vita e strumento di crescita interiore. Le discussioni sui dettagli tecnici delle ascensioni non possono oscurare l’essenza della sua testimonianza: quella di un uomo che ha saputo trasformare il dolore in rinascita, l’handicap in forza, e che continua a trasmettere non solo amore per la montagna, ma anche valori di solidarietà, altruismo e impegno umano.

Messner ci ha insegnato che “non conta dove vai, ma come ci vai”. È proprio questo che Marco ha dimostrato: il “come” fatto di sacrificio, passione autentica e capacità di rialzarsi dopo un destino che pareva segnato.

Per questo, al di là di ogni sterile polemica, credo che la testimonianza di Marco Confortola meriti rispetto e riconoscenza: non solo come alpinista, ma come esempio umano.