Dalla Valpelline una ricetta contro l'overtourism: ne parla Daniele Pieiller nel suo primo libro

"Camminando le Terre Alte", un libro autopubblicato fuori da ogni retorica, fra vecchie riflessioni e nuovi progetti. Ne è nato un piccolo "manifesto" che incrocia le storie di montanari e cittadini, protagonisti di una nuova alleanza. Ne abbiamo parlato insieme.

Molto spesso la montagna viene raccontata da chi non ci vive né tantomeno ci lavora, pur con tutta la buona volontà e la profondità di analisi dispiegata dai protagonisti del dibattito. Accedere al punto di vista dei montanari “veri” è invece rivelatorio, eppure difficile, perché non amano affatto raccontarsi, lo considerano “un’inutile perdita di tempo”. Lo spiega Daniele Pieiller, ex atleta (di slittino per la Nazionale), ex rifugista, albergatore, alpinista, fondatore del progetto NaturaValp nel 2012 (vincitore del Premio FAO 2022 come esempio virtuoso di turismo responsabile) e costruttore-gestore di un bed&breakfast in Valpelline con la moglie Ilenia. Il quale ha deciso di andare controcorrente (perfettamente in linea con la sua indole) e di mettersi a scrivere un libro in cui racconta la sua storia non tanto per esigenze autobiografiche, quanto per il bisogno di portare le sue riflessioni sul vivere nelle terre alte, fra criticità, opportunità e bellezza. Ne è nato un piccolo libro-manifesto autopubblicato, intitolato Camminando le Terre Alte: storie vere chi ha scelto la montagna per vivere, amare e ritrovarsi (pp. 169, 16,80 euro, 2025), illustrato da Luca Garonzi. Un crocevia di storie che partono da lui ma arrivano a quelle dei tanti clienti, amici, compaesani che con lui condividono difficoltà, battaglie, escursioni, cene o chiacchiere, dipende dai ruoli. Il volume è disponibile ma anche in qualche libreria e non solo in Valle d'Aosta.

 

Dalla montagna “platinata” alla montagna “sincera

C’è una differenza enorme fra chi abita la montagna ma poi va a lavorare 30 km più in basso dove ci sono fabbriche e servizi, e chi con la montagna ci si deve guadagnare il pane. E fra chi questo pane lo trova nelle valli turisticamente conosciute perché ci sono gli impianti di discesa e chi in quelle meno famose. Io le ho vissute entrambe”. Nel libro chiama la prima montagna platinata”, la seconda montagna sincera.

Daniele Pieiller, infatti, dopo l’esperienza di direttore di pista nella famosissima Cervinia avrebbe potuto rimanere a Valtournanche, tanto più che sua moglie è di lì. Invece ha deciso di andarsi a guadagnare la pagnotta e metter su famiglia (4 figli) in una zona decisamente più remota, dai guadagni assai incerti. “Ho voluto tirare fuori un punto di vista diverso, che non è solo mio, sono in molti nella mia situazione, ma siamo stati tutti educati a lavorare a testa bassa, se hai un’attività in proprio, che sia un’azienda agricola, un ristorante, un albergo, devi essere il primo a entrare e l’ultimo a uscire, fermarsi per spiegare certe cose è considerato una perdita di tempo: mi hanno dato del folle a scrivere questo libro. Era già successo quando ho dovuto assumere del personale perché con 4 bambini piccoli io e mia moglie da soli non riuscivamo più a star dietro alla nostra attività, che avevamo aumentato per poter ripagare il mutuo acceso per costruire l’Alpe Rebelle: seguendo la tradizione avremmo dovuto ingaggiare una baby sitter piuttosto che delegare il lavoro ad altri. Io sto cercando a fatica di uscire da questa mentalità, perché mi sono reso conto che ha dei limiti a livello imprenditoriale”. 

È anche spiegato nel capitolo “Ombre – Digressione per gli addetti ai lavori”, dove compendia le principali difficoltà da affrontare nel “gestire attività nelle terre alte”, insieme alla mancanza di capacità imprenditoriali e di una promozione efficace, ma anche alla frequente inadeguatezza della politica, o alla mancanza di armonia nelle comunità.

 

Una questione di sostenibilità, non solo ambientale

Parliamo del primo punto, la capacità di fare imprenditoria: “Normalmente nei luoghi fuori dal turismo di massa non arrivano molti investitori, di solito la gente ha già la proprietà, ci lavora direttamente e tutto quello che arriva è un guadagno, perché non ha da ripagare nessun investimento. Fino al covid anche noi siamo riusciti a fare così, delegando dei piccoli pezzi di attività, ma quando la struttura è stata chiusa per mesi e dallo Stato non sono arrivati aiuti concreti, ci siamo resi conto che la nostra attività non era abbastanza remunerativa. Avevamo magnifiche idee dai piedi d’argilla, bastava un soffio perché crollasse tutto. Però non volevamo rinunciare a fare turismo valorizzando i nostri prodotti e il nostro ambiente, puntando per forza sulla mega spa esclusiva con la tv da 200 canali. Dovevamo trovare il modo di rendere i nostri principi economicamente sostenibili”. 

Come ci siete riusciti? “Ho iniziato a interessarmi, a conoscere imprenditori che mi hanno spiegato come si fa davvero impresa, nel 2023 mi sono messo a studiare, ho seguito dei corsi per diventare imprenditore. Ho imparato le fasi di gestione del denaro e poi sono arrivato al marketing e alla promozione”. Ecco un altro punto caldo del capitolo appena citato: “Sto ancora studiando questa parte, che rappresenta uno dei più grandi ostacoli delle nostre montagne”.

 

Dalla politica all’imprenditoria

Mentre seguivo questi corsi ho avuto un’altra idea: sistemare chalet di montagna, ma con una filosofia particolare. Chi vuole la seconda casa può comprarla ma solo a determinate condizioni. Enrico Camanni mi ha aiutato ad aggiustare il Manifesto, un codice etico che chi vuole entrare nel progetto deve sottoscrivere. Siamo in una decina a lavorare a questo progetto che si chiama Chalets Montagnards e che partirà nel 2027. L’alpe Zonta di cui parlo nel libro ne fa parte”. 

Si tratta di un tentativo sperimentale di contrastare il fenomeno delle seconde case che aumentano in realtà l’abbandono di luoghi meravigliosi, ma già in difficoltà con lo spopolamento, perché sono immobili che rimangono vuoti la maggior parte dell’anno e dunque non fanno aumentare i servizi, ma solo i prezzi. 

Sono stato in politica e ho provato a cambiare le cose passando dalle leggi, ma mi sono reso conto che era solo una perdita di tempo, perché era il sistema a non funzionare. E io non avrei potuto farci nulla, anzi, paradossalmente, avrei continuato ad alimentarlo pur con tutti i miei buoni propositi. Ma il bene comune mi ha sempre appassionato… Avevo già provato a proporre a varie amministrazioni comunali una carta dei principi da fare firmare a chi cercava una seconda casa, per intercettare solo chi aveva voglia di vivere con noi la nostra valle, senza venirci solo per respirare aria buona o scappare dal caldo per quattro week-end all’anno, ma non ero riuscito. Così ora mi sto spostando dai politici agli imprenditori. Ad aiutarmi sono i miei stessi clienti, a volte, nel ruolo di investitori, a cui spiego i miei progetti, con cui ci confrontiamo sulle idee, che credono in me al punto da affidarmi i loro soldi, sono nate anche amicizie: è molto meglio che dialogare con una fredda banca”. 

 

Il turismo come forma di relazione umana

L’idea, dunque, è ristrutturare vecchi edifici, persino ruderi, e metterli a reddito a prezzi di mercato, ma evitando che poi rimangano vuoti e inutilizzati grazie alla rete in cui entrano a far parte e che gira intorno alla figura di Daniele: possono diventare strutture ricettive, sede di attività professionali disparate (per esempio, laboratori artigianali o scuole agricole), come pure essere in parte abitati (magari dai figli degli stessi proprietari, se sono gente del posto, così possono evitare di trasferirsi altrove). Ogni immobile avrà poi le sue regole.

Cosa ti aspetti? “Che la gente che viene qui entri in relazione con noi, con la nostra valle, che capisca quali sono i nostri problemi e condivida la responsabilità di custodire questi luoghi insieme a noi. Non ci si può mettere la coscienza a posto solo pagando l’IMU. Abbiamo bisogno di molto altro. Penso che sia un’idea forte che attirerà gente interessata e che farà parlare di noi, potremo diventare un modello per altri, e far nascere nuove idee. Del resto qui a Bionaz di investitori non se ne sono mai visti, sono stato io il primo a comprarsi una casa e farne un’attività ricettiva accendendo un mutuo, e ci sono arrivato solo perché questa era la valle di mia mamma. Sento che sta nascendo interesse”.

 

Una medicina contro l’overtourism

Hai qualche segnale? “Mi hanno contattato dalla Svizzera, sono in trattativa per attivare un progetto simile al mio in valli lontane dai servizi. In realtà volevano comprare l’Alpe Rebelle, cinque anni fa gliel’avrei regalata… Quest’estate mi ha contattato pure uno studio di avvocati inglesi. Non so di preciso perché, ma il mercato si sta muovendo, c’è un timido interesse. Per questo mi preoccupo di evitare che si finisca a costruire i mega hotel, ricadendo negli stessi sbagli fatti 50 anni fa con gli impianti di risalita. E mi è venuta l’idea della carta dei valori e di fare appassionare la gente alle nostre valli, spiegando che qui si sta bene proprio perché c’è un basso livello di antropizzazione e non ci sono grandi infrastrutture. Se vogliamo mantenere questa qualità bisogna fare investimenti mirati e basati su certi principi”.

È stato il covid a far nascere questo interesse secondo te? “No, ci siamo resi conto che c’era già anche prima. Adesso piuttosto c’è gente che vuole investire soldi in questi luoghi perché pensa che siano belli, ma non ha nessuna intenzione di venirci a vivere. Stanno fiutando un affare, per dirla in maniera brutale. Però io voglio che quell’affare sia in linea con dei principi etici: si deve arrivare a voler venire qua non per chiudersi in un resort di lusso, ma perché il territorio in sé sia il “resort”, per la sua bellezza naturale, per la bontà dei suoi prodotti, per i suoi paesaggi curati e fino a una certa quota completamente selvaggi. Sarà questa la medicina a quell’overtourism di cui si parla tanto, sarà la nuova via di fare turismo lento. Di posti belli come Bionaz ce ne sono tanti, sulle Alpi, in Appennino. Basta vedere come cambiano le persone quando arrivano”. Cioè? “Ci sono genitori preoccupati perché gli sembra che i figli non abbiano nulla da fare qua, invece poi si accorgono che i bambini tornano a perdersi dietro al pezzo di legno nel torrente o con gli animali… Non serve molto per essere felici, anche se non sono il tipo di montanaro che è andato a vivere di sussistenza in una baita con il suo orto e le sue galline”.

 

Le nuove generazioni

Immagino che in tutto quello che fai pensi anche ai tuoi figli, ma anche alle nuove generazioni. Pensi che questo sia un modo perché possano rimanere? “Ci sono tanti giovani di Bionaz che riprendono delle attività, dopo 50 anni di fuga generale, rimangono a vivere e lavorare qui. Conosco una coppia di ragazzi che ha preso in mano l’attività agricola di un anziano signore le cui figlie fanno tutt’altro. Un ragazzo sta facendo la Guida alpina ma è anche apicoltore si è messo a fare liquori. Miguel dà una mano a me con il Parco Avventura ma poi fa anche altri lavori in zona”.

È la qualità della vita a spingere i giovani a restare? “Penso che i nostri ragazzi vogliano solo sentirsi orgogliosi di appartenere al nostro territorio. La qualità della vita è più per voi di città che vivete nel traffico fra mille tribolazioni”.