Dietro la neve perfetta: cosa succede ai prati alpini sotto le piste da sci

Dalla preparazione delle piste alla neve artificiale, un viaggio tra effetti ecologici spesso invisibili a occhio nudo: suoli compattati, fioriture ritardate e comunità vegetali che cambiano volto.

L’industria dello sci rappresenta un importante motore economico per molte vallate alpine. Tuttavia, la costruzione delle piste innesca profondi cambiamenti per l’ambiente alpino: spianamenti che rimuovono suolo e vegetazione originaria, compattazione del manto nevoso e neve artificiale che prolungano la permanenza della neve, accorciano la stagione di crescita delle piante e alterano la quantità di acqua e nutrienti che raggiungono il suolo. La gravità del danno dipende in larga misura dai metodi utilizzati per la costruzione degli impianti e dagli interventi di ripristino del territorio effettuati dopo l’installazione. In un contesto di inverni più caldi e brevi e di zero termico a quote sempre più alte, per garantire la sciabilità si ricorre sempre più spesso a una gestione intensiva delle piste e all’innevamento artificiale. È un’industria vitale per molte comunità montane, ma con un prezzo ecologico che non possiamo ignorare.

Le praterie alpine non sono solo un elemento del paesaggio ma rappresentano importanti ecosistemi da cui dipende anche il nostro benessere. Esse, infatti, stoccano grandi quantità di carbonio nel suolo, contribuendo a mitigare il cambiamento climatico; trattengono l’acqua piovana e ne regolano il rilascio, riducendo il rischio di frane e alluvioni a valle; offrono rifugio a una biodiversità unica e garantiscono habitat a impollinatori e altre specie fondamentali per gli equilibri ecologici. Alterare questi ecosistemi significa mettere a rischio tutti questi servizi ecosistemici, compromettendo benefici di cui noi stessi godiamo oggi, che rischiano di non essere disponibili per le generazioni future. 

 

Perché le piste cambiano i prati d’alta quota

Le piste da sci provocano profondi cambiamenti ai prati alpini. La loro costruzione altera la composizione e le caratteristiche del suolo e la loro gestione invernale modifica il microclima - cioè le condizioni di temperatura e umidità a livello del suolo - e la stagionalità degli eventi biologici che caratterizzano il ciclo vitale delle piante.

In primo luogo, gli spianamenti che durante la costruzione rimuovono vegetazione e strati superficiali del suolo, provocano un calo della copertura vegetale, del numero di specie e un aumento di suolo nudo; questi effetti restano evidenti anche molti anni dopo e non vengono del tutto risolti dalle semine di ripristino. In secondo luogo, la preparazione invernale delle piste prevede sia la compattazione del manto nevoso, che altera il microclima sottostante, che l’uso prolungato di neve artificiale, che aumenta l’umidità disponibile e l’apporto di nutrienti trasportati dall’acqua nel suolo. La neve compattata ha infatti una più bassa capacità di isolamento, ne consegue che suolo e vegetazione delle piste innevate possono sperimentare temperature fino a -10°C, mentre sotto il manto nevoso “indisturbato”, le temperature molto raramente scendono sotto gli 0°C. Temperature al di sotto dello zero possono aumentare il rischio di danni a gemme e tessuti svernanti, limitare la crescita delle radici e ritardare germinazione e fioritura. Quest’ultimo effetto può essere esacerbato dall’utilizzo di neve artificiale che posticipa lo scioglimento della neve, penalizzando ulteriormente le specie a fioritura precoce e favorendo le specie nivali a fioritura tardiva, scombussolando le comunità vegetali alpine.

Nel complesso, la composizione floristica delle piste da sci si allontana dai prati circostanti, con una ricchezza specifica – cioè numero di specie presenti - inferiore e una diminuzione della produttività – ovvero un minor potenziale di assorbire carbonio nella stagione di crescita.

 

Come la vegetazione cerca di ripartire sulle piste

Quando un pendio viene spianato e lo strato superiore di suolo rimosso, il prato perde gran parte della sua banca di semi, radici, microrganismi e sostanza organica in esso immagazzinati. Ma cosa succede nel tempo a queste zone disturbate?

L’ecosistema si ritrova a dover ripartire da condizioni “povere”, simili alle prime fasi di successione vegetale. Per successione vegetale si intende il percorso graduale con cui una comunità di piante si riorganizza dopo un disturbo: di solito si parte da specie molto resistenti a condizioni estreme, come muschi e licheni, seguite poi da specie erbacee, arbustive e così via fino alla fase finale, detta “climax”, dove a dominare sono le specie arboree.

In quota, questo percorso è lento, perché i suoli sono freddi e poco sviluppati, ritardando la ripartenza primaverile. Il risultato è che, anche dopo anni, la vegetazione delle piste resta diversa dai prati vicini (meno specie, più suolo nudo, più specie che fioriscono tardi). Queste pressioni, quindi, spingono la vegetazione verso stati pionieri. Con il termine “vegetazione pioniera” si definiscono tutte le specie in grado di colonizzare per prime aree di recente formazione o zone che hanno subito una perturbazione e di renderle idonee alle specie che seguiteranno ad arrivare. Tuttavia, l’utilizzo e la manutenzione delle piste interferiscono negativamente con l’insediamento delle specie pioniere, rendendo la rinaturalizzazione di questi siti lenta e incompleta anche a decenni di distanza. 

Nello specifico degli impianti sciistici, le prime pioniere ad arrivare sono Achillea nana e A. moschata in quota, Epilobium angustifolium a quote inferiori, grazie alla loro alta produzione di semi e a una buona tolleranza agli stress. La loro presenza è favorita anche dalla maggiore luce – per la mancanza di altre piante che potrebbero causare ombreggiamento - e, dove si usa neve artificiale, dalla maggiore presenza di nutrienti rilasciati allo scioglimento tardivo. Infatti, essendo la neve artificiale prodotta con acqua di fiumi e laghi, rispetto alla neve naturale contiene più minerali e altre sostanze chimiche che arricchiscono il suolo.
Con il tempo la copertura delle pioniere può calare, lasciando spazio ad altre specie successive più esigenti, ma il percorso è lento perché le proprietà chimico-fisiche del suolo restano alterate. Inoltre, sulle piste le radici restano più superficiali a causa della ridotta disponibilità di materia organica negli strati più profondi, mentre compattazione e minore capacità di ritenzione idrica, unite a temperature del suolo più basse sotto neve compattata, ostacolano l’esplorazione degli strati profondi e selezionano apparati radicali fini e superficiali. Tutti questi fattori insieme rallentano il ritorno a comunità vegetali stabili e mature. 

In più, le specie seminate sulle piste derivanti da mix di semi presenti in commercio possono persistere a lungo e talvolta competere con la flora autoctona. Per questo, anche dopo decenni, alcune specie dominanti dei pascoli alpini indisturbati (ad esempio, Carex curvula su substrati silicei e Nardus stricta su quelli carbonatici) non compaiono. 

 

Mitigazione: come minimizzare il danno

Per ridurre davvero l’impronta delle piste sulle praterie alpine, bisognerebbe agire già prima del cantiere, evitando spianamenti profondi quando non necessari, mappando e proteggendo i prati di maggior valore, conservando lo strato superficiale di suolo, ad esempio rimuovendolo separatamente e riapplicandolo al più presto, e realizzando sistemi di drenaggio che distribuiscano l’acqua in modo naturale. Durante la stagione sarebbe buona norma limitare la compattazione: si interviene con i battipista solo quando lo spessore di neve è adeguato, si riducono i passaggi nelle aree sensibili e si calibra la neve artificiale (tempi e volumi), evitando cumuli tardivi che prolungano lo scioglimento in primavera. Infine, il ripristino non è solo “verde estetico”: servono miscele di specie native locali (sementi, zolle e trapianti se possibili) per ricostruire la copertura e le funzioni del suolo. Il tutto accompagnato da monitoraggi di vegetazione, radici e suolo, così da correggere il tiro e far sì che il prato torni, davvero, a somigliare al suo vicino indisturbato.
Infine, per chi va in pista, il gesto più semplice è anche il più efficace: restare sui tracciati ed evitare aree in disgelo o con copertura rada, così da non danneggiare i cuscinetti erbosi e non innescare erosione. 

Gestire la montagna in modo più attento non significa rinunciare allo sci o allo sviluppo turistico, ma trovare un equilibrio tra le attività umane e la salute degli ecosistemi. I prati alpini sono un’eredità preziosa che è importante custodire: ogni scelta fatta oggi determina se continueranno a fornirci acqua pulita, clima stabile, paesaggi ricchi di biodiversità e opportunità per chi verrà dopo di noi.