Due ragazzi, sette vette e un sogno grande: la sfida dei Summiteers sardi

Due giovani alpinisti sardi inseguono il sogno delle Seven Summits autofinanziando ogni spedizione e trasformando la montagna in un percorso di crescita personale. Il loro progetto vuole anche riportare le persone alla natura, tra equilibrio, consapevolezza e resilienza.

Inseguono un sogno con la sola forza della passione e delle proprie risorse. Sono persone comuni, con vite ordinarie, ma decise a lasciare un segno attraverso un’impresa che di ordinario ha ben poco: completare le Seven Summits, le montagne più alte di ogni continente. Un traguardo raggiunto da pochi al mondo e da appena una manciata di italiani.

I protagonisti sono Carlo Gaspa, 33 anni, e Alessandro Virdis, 31, entrambi soci della Sezione di Sassari del Club Alpino Italiano. Hanno scoperto l’alpinismo grazie ad alcuni amici e, da allora, la montagna è diventata per loro una sorta di antidoto alla vita frenetica: “una cura al logorio”, come la definiscono. Un luogo dove ritrovare equilibrio, consapevolezza e autenticità, misurandosi con i propri limiti e, insieme, con una parte più profonda di sé.

 

Tre vette già salite

Il loro cammino verso le Seven Summits è iniziato nel luglio 2024, quando hanno raggiunto i 4808 metri del Monte Bianco lungo la via normale francese. A ottobre dello stesso anno è arrivata la seconda vetta: il Kilimanjaro (5895 m), salito per la Lemosho Route in soli sei giorni, un itinerario rapido che richiede acclimatamento veloce e gestione rigorosa delle tappe.
Nel luglio 2025 è stata la volta dell’Elbrus (5642 m), salito dal versante sud affrontando meteo instabile e lunghi tratti di ghiaccio vivo.

Tutte le spedizioni sono state totalmente autofinanziate: nessuno sponsor, nessun supporto commerciale. Solo allenamento costante, disciplina e una determinazione costruita giorno dopo giorno. La preparazione avviene soprattutto in Sardegna — tra arrampicata, endurance, forza e sessioni in ipossia simulata — con trasferte periodiche in Valle d’Aosta e in Trentino per affinare la progressione su ghiaccio e misto.

 

“Il sogno è la parte più bella”

Nei loro racconti emerge un tratto che accomuna molti alpinisti amatoriali: la capacità di riconoscere la paura senza esserne travolti. “La domanda su cosa significherebbe non riuscire è difficile — spiegano —. Non siamo mai completamente sicuri di farcela. Anche sul Kilimanjaro, che sembra più un trekking che una salita alpinistica, non puoi dare nulla per scontato. Ogni vetta è diversa, non puoi lasciare nulla al caso”.

La prossima sfida, l’Aconcagua, che tenteranno a dicembre 2025, rappresenta un salto di livello: «Dormiremo quasi a 6000 metri. Saranno 17 giorni di spedizione: in teoria c’è tempo per acclimatarsi, ma la paura c’è. Ed è normale».

Eppure c’è qualcosa che li accompagna sempre: il sogno. "La parte più bella è proprio quella: prepararti, allenarti, immaginarti in vetta. Quando sei lassù, spesso è un inferno — sorridono — ma il sogno è ciò che ti muove".
La possibilità di fallire esiste e non la nascondono: “In tutte le ascensioni c’è stato un momento in cui abbiamo pensato: ‘e se questa volta non ce la facciamo?’. Spero di non dover mai affrontare davvero quella resa, perché siamo determinati a riuscirci”.

 

Un progetto che guarda oltre l’alpinismo

Accanto alla dimensione sportiva, i Summiteers portano avanti una missione più ampia: riavvicinare le persone alla natura. Un tema che, nelle loro parole, riguarda salute, equilibrio e qualità della vita. «In Italia le Seven Summits le hanno concluse pochissime persone, forse nemmeno dieci. Ma il nostro progetto non è solo alpinismo. Viviamo in Sardegna, un luogo dove la natura è vicina, eppure sempre più persone se ne allontanano: non vogliono faticare, hanno quasi paura dell’ambiente naturale, quando invece è una fonte di equilibrio».

Il concetto è semplice, ma potente: molti problemi nascono da una vita trascorsa troppo al chiuso, tra lavoro, stress e routine. Tornare fuori, all’aria aperta, potrebbe alleviare gran parte di queste difficoltà. Il progetto Summiteers vuole essere anche un gesto simbolico: dimostrare che l’avvicinamento alla natura, anche attraverso luoghi estremi, può aiutare a riscoprire l’essenziale.

E la sfida resta, inevitabilmente, anche personale: un percorso di autoconoscenza, superamento dei limiti e resilienza mentale. "Puoi prepararti quanto vuoi fisicamente — spiegano — ma alla fine è la mente che deve essere d’acciaio".

 

Aconcagua e oltre

La loro prossima tappa è l’Aconcagua (6962 m), una vetta che richiede settimane di acclimatazione e condizioni impeccabili, fisiche e mentali. Dopo di essa mancheranno Denali, la Piramide Carstensz, il Monte Vinson e infine l’Everest.

La visione che li guida rimane chiara: la montagna come luogo da cui tornare per ritrovare equilibrio, identità e consapevolezza. Un sogno che, passo dopo passo, vetta dopo vetta, continua a prendere forma.