Estate 1938: Riccardo Cassin sulle Grandes Jorasses

Nel 1938 Riccardo Cassin parte da Lecco con una cartolina e un'idea: scalare la Walker alle Grandes Jorasses. Tra perplessità, bivacchi e tempeste, la cordata lecchese risolve il rebus della parete e firma un’impresa senza tempo.

Riccardo Cassin non era mai stato sul Monte Bianco, quindi il primo problema era trovare la parete. Delle Grandes Jorasses aveva solo una cartolina di Varale con uno schizzo abbozzato a mano.

Parte da Lecco con Tizzoni e arrivano a tarda sera a Courmayeur. All’ufficio guide li trattano più o meno come dei pazzi, allora si incamminano verso il Pavillon du Mont Fréty, si stendono sulle panche tre ore e ripartono prima dell’alba per il rifugio Torino. Il custode Bron è cordialmente perplesso: prima verifica se sono sani di mente e poi spiega ai lecchesi dove devono andare: occorre scendere la Vallée Blanche, raggiungere la Mer de Glace, girare a destra e salire verso la barriera che chiude il bacino glaciale. “Man mano che saliamo verso la capanna Leschaux l’enorme muraglia si allarga assumendo imponenza ancora maggiore. Lo sguardo corre istintivamente verso sinistra dove sta la punta più alta della possente costiera, la Walker, dalla quale scende lo spigolo indicatomi da Varale. Si può fare, dico a Tizzoni”.

Ora che hanno inquadrato l’obiettivo, non resta che scalarlo. Nascondono i ferri sotto le rocce della Leschaux e ripercorrono i propri passi come Pollicino: Mer de Glace, Vallée Blanche, rifugio Torino. Il primo agosto scendono ad Entrèves e telefonano a Gino Esposito: “Vieni di corsa, fa bel tempo e va a finire che ci fregano anche questa!”. La sera del 2 agosto 1938 sono di nuovo al Torino e il giorno dopo sotto la parete. Il 4 agosto è il gran giorno: fa freddo e le stelle promettono bene. Salgono il ghiacciaio di notte, passano la terminale e affrontano il primo tratto innevato. Dannazione!, ma ci sono tracce fresche di gradini! “Qualcuno ce l’ha fatta mentre ritornavamo a Entrèves” pensa Cassin. Alla base di un liscio diedro di roccia trovano altri indizi sospetti - un fiammifero spento e un pezzetto di carta argentata -, però il diedro è schiodato ed è il primo osso duro della parete. Quando Cassin ne viene a capo è convinto che i concorrenti siano tornati indietro. “Ogni traccia di salita è scomparsa. Quei segni erano quanto rimaneva del tentativo effettuato lunedì da Allain e Leininger, respinti dalle scariche di ghiaccio. È andata bene.

L’orgoglio mette le ali ai lecchesi, anche se lo sperone Walker è eterno, severo, gelato e complicato. La “Walker” è un ininterrotto rebus di interrogativi che vanno risolti con intuito, sangue freddo e fortuna.

 

Sul diedro

Il primo giorno salgono quattrocentocinquanta metri e si fermano alla base del secondo diedro. Cenano con pane raffermo, lardo, cioccolata, biscotti e prugne. Esposito fa fondere il ghiaccio e distribuisce del tè caldo. Passano la notte dormicchiando, scherzando e punzecchiandosi a vicenda. Esposito e Tizzoni non possono credere che Cassin riesca a dormire dappertutto, così lo provocano e lo tengono sveglio. Sono giovani e sanno scacciare i cattivi pensieri.

La mattina del secondo giorno si impegnano a lungo sul diedro. Cassin si ferisce con il martello la testa sprizza sangue con un getto talmente forte che tosto il ghiaccio si arrossa. Comprimo manciate di neve sulla parte lesa e, quando il sangue è un po’ stagnato, Esposito mi applica un cerotto. Va là che sembri un pirata!, motteggia Tizzoni”. Poi viene il passaggio del pendolo, l’invenzione geniale che permette alla cordata e di aggirare i tetti che sbarrano il filo di spigolo. Quando lo riagguantano sono soddisfatti, ma il tempo si guasta e inizia a grandinare.

Comincia una notte senza stelle, poi scoppia un violento temporale. I fulmini illuminano a giorno le rocce e “il cielo assume in lunghi brividi i colori del giorno”. Mancano ancora cinquecento metri alla cima ma i tre non hanno nessuna intenzione di tornare indietro, anche perché sanno che sarebbe rischiosissimo, forse impossibile. L’alba promette una breve tregua e allora Cassin fa vedere di che pasta è fatto. Sale una cengia obliqua, scala un torrione compatto, entra in un canale ghiacciato, ne esce sotto la neve, ripulisce gli appigli, continua a salire convinto, veloce, senza pensarci. Una macchina da arrampicata. Sotto la cima delle Grandes Jorasses scoppia un altro temporale ma ormai sono fuori: toccano la Punta Walker alle quindici del 6 agosto. Il tempo infame li costringe al terzo gelido bivacco.