Bargiel in salita berso il Colle Sud
Bargiel in discesa dal Colle Sud
Bargiel in salita berso il Colle Sud
Bargiel in discesa dall'Everest con gli sci
Andrzej Bargiel durante una salita di acclimatamento sull'Everest
Live della discesa da Colle Sud
Un altro momento della discesa
Andrzej Bargiel al campo base dell'Everest
Andrzej Bargiel nel tentativo di discesa dell'Everest nel 2022La questione è la seguente: all’inizio di ottobre lo sciatore, runner e alpinista polacco Andrzej Bargiel, 37 anni, un tipo atletico e fortissimo, ha sceso il versante nepalese dell’Everest con gli sci. Dalla cima al campo base, senza fare uso di ossigeno. Il fratello Bartek l’ha aiutato dal cielo con il drone, fungendo da terzo occhio dello sciatore. La Red Bull ha finanziato un film con mezzi eccezionali e ha inondato i social media di titoli e immagini, applaudendo l’impresa come una “prima mondiale”. Ma l’Everest era già stato sceso nel 1996 da Hans Kammerlander lungo il lato nord-orientale, anche se Hans aveva dovuto togliersi un paio di volte gli sci per superare dei salti di roccia e la sua discesa non era stata omologata come completa.
Kammerlander, che non aveva neppure l’appoggio di uno sherpa e s’era trasportato il peso fino in vetta (il minimo indispensabile per sopravvivere, solo un litro di tè) ha criticato l’operato di Bargiel e della Red Bull: “Quando si allestisce uno spettacolo come questo a distanza di così tanti anni, con una storia che non è paragonabile a nulla, è un vero peccato. Rovina l’alpinismo, annacqua tutto. È stato davvero uno spettacolo indescrivibile quello messo in scena con una spedizione classica e del tutto normale”.
È chiaro che storicamente ha ragione lui, perché è da idioti confrontare un’impresa pionieristica con una performance “commerciale” del 2025. Da quel punto visuale - ribadisco: è il punto di vista dei critici e degli storici, che ormai manca nel mondo dell’alpinismo - si spiega anche il disgusto di un alpinista del secolo scorso, quando scalare e scendere gli Ottomila era ancora un’avventura ai confini del Pianeta, nei confronti degli exploit perfetti e super mediatizzati di oggi, in cui ogni mistero è eliminato, ogni limite, ogni imperfezione e il campione ne esce come un eroe patinato della pubblicità. Ma c’è anche un altro punto di vista, ed è quello del pubblico: nel momento in cui, grazie ai soldi e al potere di aziende gigantesche come Red Bull, tu spettatore puoi scendere in sci l’Everest con il tuo campione, respirando con lui, indicandogli le curve da seguire, patendo e godendo con Andrzej dal divano di casa, che senso ha parlare di impresa? Quando ogni mistero è bruciato e ogni incognita spazzata dalla tecnologia dell’immagine, è ovvio che la gente consideri imprese quelle che vede sul computer o alla televisione e non imprese quelle che non vede, non conosce e mai conoscerà. Sarebbe tutto da riconsiderare, altrimenti finiremo nel disintegrare una storia, un’idea, tutto. Servono i critici e gli storici, lo ribadisco, e non per questo nego di avere goduto il film di Bargiel, sciando e palpitando insieme a lui. Adesso conosco la via normale dell’Everest meglio di Hillary e Tenzing.