Fèro Valentini, lo sciamano delle Dolomiti

Il raccoglitore di erbe spontanee della Val di Non si racconta in un libro appena uscito, “Alchimista dei boschi”. “La natura è il mio supermercato”, scrive. Ma non aspettatevi ricette e consigli di benessere: la vita nei boschi segue le regole della natura. Non basta andarci ogni tanto in vacanza per conoscerla, serve connettersi con la parte più profonda del proprio animo.

Un guaritore, un santone, uno strano eremita, un fine botanico, una creatura d’altri tempi: ciascuno si è fatto negli anni una sua idea di Ferruccio Valentini, che gli amici chiamano “il Fèro”, l’òm dal bósch, custode dei boschi della Val di Non e raccoglitore di erbe spontanee.

L’aspetto non lascia dubbi che si tratti di persona particolare: alto e slanciato, folta barba grigia e sguardo accigliato, occhi incuneati in due zigomi aguzzi come il naso e la vista, si aggira in città avvolto in un tabarro e fra i boschi con coltello e cestino di vimini appeso al braccio ossuto. Potrebbe essere un personaggio del Signore degli anelli. Impossibile non riconoscerlo. D’altro canto, lui per primo non è tipo da starsene buono: dice sempre quel che pensa e sa impegnarsi nelle battaglie che sa di poter vincere. 

Come sia finito ora in libreria è una storia lunga come il suo rapporto con le erbe selvatiche, che raccoglie da quando era bambino. Il volume ha l’intrigante titolo di Alchimista dei boschi. Una vita secondo natura (pp. 156, 16 euro, Ponte alle Grazie 2025) e non poteva essercene uno più adatto. Questo è il suo primo libro, anche se in un libro ci era già finito anni fa.

 

L'uomo dei boschi

Ferruccio Valentini è nato a Tuenno, tra le Dolomiti di Brenta, nel 1948, in una famiglia “povera e numerosa”, composta da un padre che non c’era mai perché faceva affari (perlomeno, ci provava) con il bestiame lontano da casa, una madre che gestiva tutto e otto figli fra maschi e femmine. A scuola è arrivato con fatica alla quinta elementare, perché è stato chiaro fin da subito che la “vera scuola” l’avrebbe frequentata lontano dai banchi. Per aiutare in casa, a 9 anni svolgeva già vari lavoretti, che lo avevano portato a entrare in contatto con i veterinari guaritori, quelli che curavano le bestie con le medicine tradizionali, ma anche con i rimedi naturali. Aveva provato allora a farne uso con le bestie di famiglia: aveva funzionato e pure a costo zero, che non guastava.

A raccogliere erbe in maniera sistematica ha iniziato così. Il primo motorino se lo è comprato grazie a loro: salvando un vitellino già dato per spacciato, sopravvissuto invece grazie a un suo preparato a base di orzo, malva e assenzio (e anche perché è testardo). Vinta la sfida con suo padre, che invece non ci credeva, aveva avuto in dono l’animale e con i soldi della vendita aveva scelto il suo premio.

Sono molti i lavori che ha svolto per guadagnarsi da vivere: il pastore e il casaro, il cacciatore e il guardiacaccia. Ha pure tentato di fare il ristoratore, ma non faceva per lui e ha venduto l’attività al fratello.

La sua casa dagli anni ‘80 è una baita isolata sopra Tuenno, tutta ristruttura in materiali di riuso, a metà fra un laboratorio farmaceutico, un bazar, un museo, un silos di stoccaggio per le erbe che raccoglie in enorme quantità (una volta hanno fatto i conti: 36,3 quintali in 475 ore) e che inizia a lavorare già lì. In realtà, ancor prima, era l’unico abitante della Val di Tovel, dove si trova il famoso lago rosso per cui, quando è stato necessario, ha difeso denunciando le inadempienze delle autorità locali. Da quel posto però le istituzioni lo hanno poi sfrattato, la storia è nel capitolo intitolato “Residente solitario”.

Conduce oggi una vita quasi autosufficiente, grazie alla conoscenza profonda di tutto ciò che gli offre la natura, il suo “supermercato”. Una vita essenziale come il libro.

 

L'alchimista

L’attenzione verso tutto ciò che è “naturale”, in una società sempre più votata all’“artificiale” non solo in informatica, è argomento di vibrante attualità. Le persone come Fèro Valentini con quel valore ci sono invece nate: correva l’anno 2010 quando Michael Wachtler, regista altoatesino e paleobotanico, presentava il documentario “La natura che cura, la forza delle piante primitive”, dedicato a Fèro e alle persone che, come lui, erano riuscite a raccogliere antiche tradizioni popolari, riscoprendo le proprietà curative di fiori e piante. Il film era stato anche premiato al 16° Festival della Lessinia, diventando nell’anno successivo un libro. Quel personaggio incuriosiva, ma rimaneva noto più che altro a livello locale. Le cose sono cambiate nel 2021 quando The Pillow, un canale YouTube nato per documentare storie di vita particolari, ha pubblicato un video che lo riprendeva nella sua casa e nel suo ambiente: ad oggi le visualizzazioni sono oltre un milione e duecentomila. Il servizio delle Iene nel 2023 ha fatto il resto.

Per quale motivo l’òm dal bósch si attira così tanta notorietà? “Io ritengo un mio dovere far conoscere a più persone possibile la mia attività. Perché tanti non sanno che un’alimentazione più sana e gratuita è possibile”, si legge. Certo, non è facile diventare raccoglitore di erbe spontanee, una professione non riconosciuta che praticano ormai pochissime persone. 

 

Paleobotanica

Fèro non è solo questo. Racconta infatti anche delle sue scoperte di paleobotanica: vagabondando nel bosco si è imbattuto negli anni in ben 60 fossili di piante preistoriche, di cui 13 sconosciute prima, risalenti anche a 280 milioni di anni fa. Studiandole si è reso conto che non corrispondevano a nessuna specie conosciuta, entrando quindi in contatto con musei e altri esperti. Alcune di quelle antiche piante oggi portano il suo nome: la Fèro valentinia è quella che preferisce, ma ci sono anche la Valentinia Cassinis e la Valentinia Angelelli che rappresentano le prime testimonianze della presenza delle conifere in Dolomiti. Parte di quelle scoperte le ha condivise proprio con Michael Wachtler, diventato poi amico e maestro sull’argomento.

Il vero maestro però è Pietro Andrea Mattioli, umanista, medico e botanico del Cinquecento, senese di origine che visse dieci anni in Val di Non, dove studiò a fondo i segreti delle piante, affidati ai suoi Discorsi, il volume su cui si è formato Fèro che con quel lontano personaggio ha sviluppato una connessione spirituale, pare addirittura che ci assomigli. Alcune riproduzioni di piante officinali si trovano sparse per tutto il libro. 

 

Il bosco dello spirito

Buon enrico, malva, assenzio, lichene islandese, bardana, luppolo… Fèro spiega i moltissimi usi di piante più e meno note, e si capisce quanta conoscenza trasuda da ogni parola. Non solo, perché apprendere i segreti della natura è in realtà una vocazione, una pratica che non si può insegnare davvero, bisogna avercela un po’ dentro, dalla nascita o forse da prima, come un’eredità genetica che arriva da molto lontano. 

Pagina dopo pagina, viene voglia di essere come Fèro, di sapersi vivere con la sua libertà: “tanti vorrebbero vivere come”, scrive proprio così, “lontano dallo stress, all’aria aperta a fare passeggiate”. Ma lui la vede diversamente: “Io lavoro tutti i giorni, tutto il giorno, e lo faccio da tutta la vita. Io non passeggio mai, cammino sempre con un obiettivo in testa”. 

Offre indubbiamente molti temi e spunti di riflessione questo libro, figlio editoriale di un'epoca dalla diffusa e crescente sensibilità verso “le cose della natura”, riscoperte come baluardo contro le storture del progresso: c’è il rispetto per ciò che non è umano (vegetali o animali che siano), il sentimento viscerale che la natura vada protetta in quanto patrimonio di tutti, la conoscenza profonda delle proprietà curative (in molti sensi) di erbe e piante, la difficoltà a stare dentro alle regole della società civile, spesso assurde e “contro-natura” ma anche “dis-umane”. Filtra la sensazione che un’altra vita sia possibile, in un mondo più simile a quello in cui vive Fèro. Ci si sente quasi leggeri al pensarci. Ma per fortuna c’è anche di più. 

Il libro potrebbe infatti limitarsi a narrare un’esperienza personale, a veicolare i rimproveri di un vecchio saggio dall’arte inarrivabile contro un sistema che non funziona, invece va oltre, inchiodando ciascun lettore alle sue responsabilità individuali: “Ci hanno condizionato a non dare più fiducia alla natura e alle sue cure”, riducendo “persone come me” a “poveri rimbambiti” dalle credenze assurde. Ma la verità è che noi lo abbiamo accettato: “Ci siamo stancati di imparare”, affonda, ci siamo piegati alla logica della facilità a ogni costo, rinunciando al “semplice piacere della curiosità”. 

Nel bosco Fèro trova la libertà perché, al di là della sua scelta di vita e del suo mestiere, non ha smesso di essere curioso. Non si è piegato al grigiore dell’omologazione che toglie il sapore all’erba di qualunque giardino, fosse anche la fioriera di un balcone. E questa rimane la sua più grande lezione.