Fibromialgia, dall’Ospedale Niguarda un progetto sperimentale basato sulle attività all’aperto

Al via una collaborazione tra l’Ospedale milanese e la ASST Valtellina per testare l’efficacia di immersioni in natura, terme, mindfulness e nordic walking nel miglioramento dei sintomi della fibromialgia.

La fibromialgia è una patologia cronica e complessa, che colpisce circa l’8% della popolazione, prevalentemente le donne, soprattutto tra 35 e 55 anni, ed è caratterizzata principalmente da un dolore cronico diffuso e una debolezza e affaticamento costante, che non si risolvono con il riposo. I sintomi non si limitano a questa breve lista ma possono includere anche disturbi del sonno, problemi digestivi, emicranie e la cosiddetta "fibro-fog", un annebbiamento cognitivo che compromette concentrazione e memoria. Una sintomatologia complessa e articolata che rende la patologia fortemente invalidante nella vita quotidiana. Attualmente, non esiste una cura risolutiva, rendendo la gestione dei sintomi attraverso un approccio personalizzato e multifattoriale l'unica via terapeutica efficace.

La natura come terapia complementare

Per far fronte alla complessità di questa malattia, l'Ospedale Niguarda di Milano ha lanciato un progetto sperimentale di riabilitazione residenziale in collaborazione con la Azienda Socio Sanitaria Territoriale Valtellina e Alto Lario. Il programma è dedicato ai pazienti con fibromialgia primaria (ovvero in assenza di altre patologie reumatologiche) e prevede un soggiorno intensivo di tre settimane presso l'Ospedale di Sondalo, in Valtellina, in un contesto tranquillo e immerso nella natura.

Come sottolinea il Direttore della Reumatologia del Niguarda, Oscar Epis, "data la complessità di questa malattia e la grande varietà dei sintomi, la gestione della fibromialgia richiede per forza di cose un approccio multifattoriale e altamente personalizzato. Le linee guida raccomandano di integrare modifiche dello stile di vita e interventi non farmacologici, utilizzando i medicinali solo nei casi in cui queste misure si siano dimostrate insufficienti”.

La formula residenziale è stata scelta per garantire trattamenti continui e coordinati e lo svolgimento di attività di gruppo. I pazienti avranno accesso a una serie di attività all’aperto immersioni in natura, nordic walking, trekking leggero e sessioni di mindfulness – e balneoterapia alle Terme di Bormio, basata sui potenziali effetti benefici dell’acqua termale su dolore e sonno. 

Dietro le quinte del programma sperimentale vi saranno reumatologi, fisiatri, psicologi, terapisti del dolore, dietisti e molte altre figure professionali. Un team di esperti il cui obiettivo principale sarà definire percorsi diagnostici, terapeutici e riabilitativi su misura per ciascun paziente. Si punterà a combinare trattamenti farmacologici con approcci non farmacologici per migliorare significativamente la qualità di vita degli affetti da fibromialgia e i piani terapeutici saranno individualizzati, mirando a promuovere una maggiore consapevolezza della patologia e autogestione da parte del paziente, allo scopo di renderlo più autonomo e ridurre la necessità di frequenti visite e controlli nel tempo.

Al termine del soggiorno, il progetto prevede una fase successiva di follow-up, durante la quale i pazienti proseguiranno il percorso terapeutico al Niguarda o in centri territoriali di secondo livello. Verrà in questo modo assicurata la continuità assistenziale e si continuerà a monitorare la patologia mediante visite periodiche.

La necessità di un approccio specialistico è resa ancora più urgente dal forte impatto economico e sociale della patologia, che spesso causa un ritardo nella diagnosi e un elevato costo per il Sistema Sanitario Nazionale, dovuto al numero quasi doppio di visite specialistiche richieste rispetto a soggetti sani, a causa dei numerosi sintomi generici che complicano la diagnosi.

Come sottolinea il Dottor Epis, “anche i costi sociali indiretti sono considerevoli, principalmente a causa della riduzione della produttività lavorativa: uno studio ha dimostrato come il 24,3% dei pazienti lasci il lavoro entro cinque anni dall’insorgenza della patologia”.