L'attuale Rifugio Quintino Sella al Felik - 3600mt
Il gestore del Rifugio Quintino Sella al Felik Adriano Favre
I crepacci del ghiacciaio del Lys
La salita al Castore
Il panorama dal Rifugio Quintino Sella verso i Lyskamm
Un'immagine storica del Rifugio Quintino Sella al Felik (1907)Guida Alpina dal 1975 (50 anni di attività quest'anno), nel 1987 Adriano Favre prende in gestione il Rifugio Quintino Sella al Felik, che da allora è la sua casa. È stato a lungo direttore del Soccorso Alpino Valdostano, istruttore nazionale delle Guide Alpine e istruttore regionale del Soccorso Alpino. Attualmente è responsabile dell’area formazione del CNSAS.
In più di trent’anni di esperienza ha accompagnato clienti sulle montagne europee, in Sud America e in Africa, dove ha svolto una vasta attività. In Himalaya ha salito nel 1996 il Manaslu (8163 m), nel 1999 lo Shisha Pangma (8013 m) e nel 2001 il Dhaulagiri (8156 m). Ha inoltre partecipato a spedizioni al Kangchenjunga nel 1995, al K2 nel 1998 e nel 2003 alla parete sud dell’Annapurna, concluse in prossimità della vetta a causa delle condizioni meteorologiche avverse.
La voce di Adriano Favre restituisce l’immagine di una montagna che cambia più velocemente della capacità dell’uomo di adattarsi. I ghiacciai che si trasformano, i percorsi che diventano insidiosi, le mappe che, seppur digitali, non stanno al passo con i mutamenti e le aspettative dei frequentatori spesso lontane dalla realtà: elementi che, sommati, tentano di dare una spiegazione all’aumento degli incidenti. In questo scenario, la vera differenza la fanno l’umiltà, la preparazione e la capacità di affidarsi a chi la montagna la vive ogni giorno.
Anche quest’estate sul Monte Rosa ci sono stati diversi incidenti, anche mortali. Da cosa dipende?
Negli anni la montagna ha trasformato profondamente le condizioni: nel giro di dieci anni la geografia stessa di alcuni itinerari è mutata. Ghiacciai abbassati, pareti più ripide, ghiaccio vivo oggi costante. Questo rende più insidiosi percorsi che un tempo erano considerati abbordabili.
Le mappe e le tracce GPS non bastano più?
Purtroppo non sempre bastano. Sia le cartografie digitali che quelle cartacee riportano ancora tracce di itinerari che non sono più consigliabili. Le mappe non fanno in tempo ad adeguarsi. Pensiamo alla parete ovest del Castore: oggi ci sono crepacci a metà parete, e la salita è diventata più difficile.
Quali sono i tratti più pericolosi in zona?
Nei pressi del rifugio non ci sono particolari problemi di crepacci, ma resta la pessima abitudine di andare da soli per acclimatarsi. Lo “Spaghetti Tour” dal Piccolo Cervino verso il Castore è pieno di crepacci: lì non mancano gli incidenti, con persone che ci finiscono dentro.
Molti parlano di “alpinisti”, ma chi frequenta i 4000 oggi lo è davvero?
La parola alpinista va un po’ stretta. C’è chi ha saltato a piè pari gli step scolastici, corsi CAI o con le Guide, e pretende di affrontare subito itinerari complessi. Non si può andare all’università senza passare dal liceo. Senza umiltà e rispetto della progressione si rischia grosso.
Che ruolo hanno i social e il web?
Se usati bene, possono essere utili. Ma molto dipende da chi parla e da chi ascolta. Se l’obiettivo è il sensazionalismo, il risultato è presto detto. Bisogna mostrare tutto della montagna, non solo la vetta. Dietro a un 4000 ci sono mesi, anni di preparazione. I social sono utili per informazioni in tempo reale sulle condizioni, ma servono spirito critico e verifica con i professionisti.
E i rifugisti che ruolo hanno?
Fondamentale. Noi monitoriamo ogni giorno la situazione. Grazie alla costante presenza in rifugio di Guide alpine abbiamo una panoramica ben chiara dei percorsi, anche perché è la stessa Guida a non avere alcun interesse a spingere qualcuno su un itinerario pericoloso. Anzi: capita spesso che a chi non è pronto venga consigliato un percorso alternativo.
Come si presenta la stagione attuale?
Quest’anno è record rispetto agli ultimi dieci. Abbiamo superato il 70% di presenze straniere, soprattutto da Francia, Svizzera, Germania e Austria. Le agenzie prenotano già con un anno di anticipo: arrivano così persone preparate fisicamente e tecnicamente, non neofiti.
Capita anche a 3600 metri di imbattersi in qualcuno che arriva senza capire dove si trova?
Sì, capita. C’è chi chiede la camera singola, dimenticando che siamo su un ghiacciaio, con risorse limitate. L’acqua, ad esempio, non è infinita: un rifugio da cento posti può consumare 3000 litri al giorno. Per questo la doccia non è un servizio quotidiano, ma una coccola. Anche sui rifiuti siamo attenti: li riduciamo a circa 300 chili a settimana, mezzo chilo per persona.