Giacomo Mauri pronto per la Torre Egger: "Abbiamo più consapevolezza"

In preparazione alla spedizione in Patagonia, l'alpinista dei Ragni di Lecco ha salito la Grassi-Bernardi alla Roccia Nera con Lorenzo Negri. "L'approccio con la bici è più lento e permette di gustare meglio la montagna"

Dopo la spedizione dell'anno scorso, Giacomo Mauri si appresta a partire nuovamente per la Patagonia, dove riprenderà in mano la via che Ermanno Salvaterra aveva tentato sulla parete ovest della Torre Egger una dozzina di anni fa. Insieme a lui Luca Schiera e Berni Rivadossi, mentre Federico Agostini quest'anno non riuscirà a unirsi ai compagni.

 

In preparazione al granito patagonico, Mauri è stato alla Roccia Nera (4075 metri), dove ha salito la via Grassi-Bernardi (TD+, 500 metri) insieme a Lorenzo Negri. Si tratta di una bella classica del 1980, completa e divertente, scelta sovente dagli alpinisti anche perché l'avvicinamento con la funivia la rende tutto sommato “comoda”. Tuttavia, Mauri e il socio hanno optato per un approccio diverso, complice la chiusura degli impianti. “Ero stato al Cervino sulla nord a provare una via con amici. Eravamo già tornati in modalità alpinismo, ma le condizioni non erano tanto buone e allora siamo andati alla Roccia Nera. Visto che gli impianti erano chiusi siamo partiti con la bici elettrica e poi abbiamo risalito le piste fino al Piccolo Cervino”.

 

I due hanno trovato la via un poco secca e non banale, per le condizioni riscontrate. “Il primo tiro è stato il più impegnativo: neve inconsistente, ghiaccio scollato, abbiamo fatto una decina di metri in cui bisognava stare piuttosto attenti. Poi parte il misto, semplice ma tecnico, quindi si riabbatte di nuovo, entri in un colatoio. Il secondo tiro era molto gonfio di ghiaccio. Nel terzo, invece, nella parte del canale abbiamo trovato ghiaccio marcio e poi tutta una parte da arrampicare su un bel traverso. Più in alto entri in bell'anfiteatro, con una lingua di ghiaccio, pendenze fino a 85°. All'ultimo tiro esci sotto la cresta sommitale. L'uscita è gloriosa, bucando la cornice, complessivamente è una via divertente e completa. Per tornare abbiamo deciso di fare la traversata dal Breithorn, molto bella. Eravamo alla macchina alle 16, anche perché grazie alla bici ci siamo fatti una bella discesa”.

 

Giacomo non esclude che in futuro possa ripetere un approccio del genere, con mezzi “leali”. È qualcosa che un po' rimanda ai tempi lontani di un alpinismo mitico, un po' va incontro a nuove sensibilità. “Aggiungi un po' di fatica e soddisfazione generale a un approccio mordi e fuggi. Sicuramente la bicicletta allunga i tempi e quindi rallenti tutta l'esperienza, che altrimenti è un po' mordi e fuggi. Ti permette di apprezzare di più la montagna, di ragionare. E poi in una ottica futura potrebbe essere interessante anche dal punto di vista atletico, come allenamento. Non nell'immediato però! Tra un mese parto per la Patagonia e lì gli avvicinamenti sono già infiniti, quel che c'è da camminare basta”.

 

La spedizione dell'anno scorso è servita molto a Mauri e compagni, anche se non sono riusciti a completare la via. Il tempo ha sedimentato quella esperienza, che ha lasciato nel team una maggiore consapevolezza. “In Patagonia magari hai quattro giorni di tempo buono in un mese. Le incognite sono moltissime, non è facile fare esperienza. Quella che fai però è importantissima, anche perché quelle condizioni qui da noi non sono replicabili. L'alpinismo d'altronde è tutto basato sull'esperienza. Il risultato è che ogni volta che scali laggiù impari qualcosa. Acquisisci consapevolezza: la vecchia teoria per cui ogni volta che scendi dalla montagna torni cambiato è vera e lì è vera di più perché i tempi sono diversi. Fare pratica in Patagonia è importantissimo, perché la montagna ti ruba tante energie e avere più esperienza ti permette di stancarti meno, di fare la cosa giusta, di essere più sereno in quello che fai”.

 

La via dell'Ermanno, per come attualmente viene chiamata per farsi capire, ha mostrato alla cordata tutta la sua bellezza. “Sono 700 metri di verticale, dalla base vedi la cima. La linea è dipinta, perfetta, difficilissima come progressione e protezioni. La roccia è ottima, negli anni è cambiata solo la parte alta. Ma questa è una cosa comune in Patagonia, ormai tutti i funghi sommitali si sono ridotti di molto, c'è meno neve”.

Mauri e soci sono determinati a fare bene e a portare a casa il risultato. “Quest'anno partiamo prima e non abbiamo nemmeno il biglietto di ritorno. Insomma, andiamo lì per farla...poi si devono incastrare tutte le cose per bene, ma noi faremo la nostra parte”.