Giacomo Meliffi: "In Patagonia le ho passate tutte"

L'alpinista del CAI Eagle Team torna con un'amicizia rinsaldata, una nuova via all'attivo e un'esperienza preziosa nel team di soccorso per i tre cileni sul Fitz Roy
Giacomo Meliffi su Greenspit

Giacomo "Jack" Meliffi è rientrato dalla Patagonia da pochi giorni, dove ha sperimentato con il CAI Eagle Team tutta la gamma di esperienze che una spedizione può offrire a un alpinista. Brutto tempo, nuove vie, avvicinamenti infiniti, qualche litigio e qualche legame che invece ne è uscito rafforzato. Non è mancata nemmeno un'operazione di soccorso, fortunatamente conclusasi al meglio. Andiamo con con ordine.

 

Qual è stato il primo impatto?
Venivo da un viaggio nella valle del Cochamo, dove avevamo scalato parecchio e ripetuto anche una via che David Lama aveva salito in libera, la Pegadito en la pared. L'ho fatta in libera anche io. Abbiamo pure provato ad aprire una via, ma ci siamo ritrovati su una fessura cieca e volevamo farla in trad, così il gioco è finito lì. Poi abbiamo preso l'autobus e da Bariloche siamo scesi giù fino a El Chalten. Tanta pampa, solo pampa, un paesaggio completamente diverso.

 

In Patagonia avete sperimentato subito il lato duro.
Avvicinamenti lunghissimi e la prima finestra di bel tempo non era una vera finestra, così siamo andati al campo Nipo Nino, ma non abbiamo scalato.

 

Veniamo alla Torre Egger...
Siamo tornati con cordate divise, io e Marco [Cordin, ndr] volevamo scalare la Torre Egger, abbiamo avuto un po' di disguidi con Max. A Marco non piaceva troppo la situazione, l'idea nostra era di fare la Marc-Andrés Vision più la Titanic. Comunque non siamo riusciti a scalare quello che volevamo. Alla fine siamo andati a fare la Rubio y azul, una bella via non troppo difficile di Ermanno Salvaterra, sulla Aguja di Media Luna.

Sul primo tiro di Jineteada

Avete anche fatto un ultimo tentativo, o meglio, ci avete provato.
Sembrava che ci fosse quest'ultima finestra, eravamo solo io e Marco. Eravamo carichi per fare la salita one push, ma poi la finestra si è accorciata e la notte prima di attaccare…in tenda c'era gente che vomitava ovunque. Colpa dell'acqua che avevamo bevuto, comunque è stato male anche Marco. Io sono stato l'unico che si è salvato, comunque non c'era possibilità di tentare in quelle condizioni. A quel punto ho scalato con Camilla e siamo riusciti ad aprire una nuova via sulla faccia sud-est della Aguja di Media Luna. Il primo tiro direi che è un 7a, poi si fa più facile, sono 5 tiri che portano fino alla prima spalla. È stata un po' un rodeo, come tutta la situazione e così l'abbiamo chiamata Jineteada.

 

In tutto questo c'è stata anche una operazione di salvataggio, per fortuna andata a buon fine.
È stata la cosa più intensa che abbiamo vissuto. Subito dopo il primo tentativo ci è arrivata la notizia di tre ragazzi cileni che non si muovevano da un paio di giorni sul Fitz Roy. Al terzo invece hanno ripreso, quando sembravano ormai spacciati. Io e Marco siamo andati davanti al club alpino, sapevamo che c'era già una cordata formata da Tasio, un ragazzo basco e Facu, argentino. Ne chiedevano altre due...noi eravamo belli stanchi ma ci siamo lanciati subito perché prima pensavamo che ormai fossero morti e la speranza ci ha dato forza. E poi sapevo che ero con Marco, la cosa poteva mettersi giù brutta mai lui era un punto di forza in questa faccenda per me e viceversa. Poi c'era l'altra cordata, con Sean Villanueva e Juan, medico alpinista di El Chalten. Siamo saliti il giorno stesso, siamo andati fin sotto la breccia degli italiani ma non c'è stato bisogno di salire, loro si sono riusciti a calarsi con una sola corda per incontrare i soccorsi. Noi abbiamo scavato una truna, allestito il campo base, abbiamo fatto da mangiare. Avevano principi di congelamento, ma stavano bene, considerando che erano fuori da 6 giorni. La cosa che mi è rimasta di più è il senso di solidarietà: una grande collaborazione, ci tiravamo su il morale, ci davamo forza a vicenda. Era un obiettivo molto più importante che scalare, si trattava di salvare delle vite. Diciamo che il meteo in questo caso ci ha restituito un favore, perché poi l'elicottero è riuscito a venire a prenderli, altrimenti non sarebbe stato facilissimo. E poi è stato molto bello anche il dopo, abbiamo fatto un mega asado, ci hanno portato le empanadas. Questa cosa ha legato molto me e Marco.

 

È stata una esperienza completa...
Sì ma torneremo. Non nell'immediato, non quest'anno, ma abbiamo lasciato una cosa a metà e la finiremo.