I ghiacciai italiani sono un serbatoio di inquinanti, a rischio la salute delle acque

L’Università Statale di Milano ha analizzato lo stato di contaminazione di 16 ghiacciai italiani, evidenziando come l'accelerata fusione aumenti il rischio di trasferimento degli inquinanti ai corsi d'acqua, con conseguenze sugli ecosistemi montani, fluviali e marini.

Un nuovo studio condotto dall'Università Statale di Milano, con il sostegno di One Ocean Foundation, realtà no profit impegnata a livello internazionale nella tutela dell’ambiente marino e Giorgio Armani SpA, rivela un grave rischio legato alla sempre più rapida e intensa fusione glaciale: il rilascio di inquinanti, accumulati e conservati per decenni, nei corsi d'acqua. La ricerca si inserisce nel più ampio progetto “Il mare inizia da qui” promosso da One Ocean Foundation, che lega la salute dei ghiacciai a quella del mare.

Pubblicato su Archives of Environmental Contamination and Toxicology, lo studio presenta la prima mappa su vasta scala della contaminazione dei ghiacciai italiani, realizzata analizzando 15 ghiacciai alpini e il Calderone del Gran Sasso, declassato a glacionevato dagli anni 2000.

 

Il lungo viaggio degli inquinanti dai ghiacciai al mare

I ghiacciai, a lungo considerati i "congelatori del Pianeta", stanno mostrando in maniera evidente, anche agli occhi dei meno esperti, non solo la loro dinamicità – un ghiacciaio, per definizione, è un corpo vivo, che si mantiene in equilibrio tra nuovo accumulo di massa a monte e fusione a valle – ma anche il loro stato di progressiva sofferenza. I terminiarretramento”, “fusione”, “assottigliamento” dei ghiacciai, stanno entrando nel lessico comune, tanto se ne sente parlare. E questi fenomeni di alterazione dello stato di benessere dei ghiacciai, conseguenti soprattutto al cambiamento climatico, li rendono delle perfette sentinelle ambientali

Tra le varie funzioni che i ghiacciai sono in grado di assolvere, che stanno venendo meno per effetto della accelerata fusione, vi è quella di accumulare e stoccare inquinanti, in gran parte prodotti dall’uomo. Questi composti vengono trasportati in misura crescente dalle acque di fusione nei corsi d’acqua a valle. Un processo che minaccia la qualità delle acque e mina la salute degli ecosistemi, dimostrando la profonda interconnessione tra gli ambienti montani, fluviali e marini. 

Tra il 2020 e il 2021, i ricercatori hanno raccolto campioni di detriti sopraglaciali dai 16 ghiacciai protagonisti del progetto, analizzando la presenza di metalli pesanti, come ferro, alluminio, cadmio, mercurio e piombo, presenti già di per sé in natura ma possono rappresentare un problema in caso di aumento delle concentrazioni, e composti organici persistenti, i cosiddetti POP, come DDT, PCB e HCB, che sono invece di natura antropica.

I risultati hanno mostrato una contaminazione diffusa, con concentrazioni variabili tra i ghiacciai, derivante dal fatto che gli inquinanti possano raggiungere i ghiacciai sia per effetto di un trasporto atmosferico ma anche per la presenza di fonti locali di contaminazione. Alcuni ghiacciai, come l'Ebenferner, situato in prossimità del Passo dello Stelvio, presentano alti livelli di metalli potenzialmente tossici (cadmio, mercurio, piombo e  zinco), probabilmente legati ad attività umane locali, mentre in altri, come il Preda Rossa, la contaminazione risulta essere essenzialmente di origine geologica.

Lo studio conferma il ruolo dei ghiacciai come archivi naturali, in cui vengono conservate tracce dell’inquinamento del passato e del presente. Ma evidenzia anche quanto la fusione di questo archivio vada a contribuire al rischio ambientale. Le sostanze intrappolate nel ghiaccio possono raggiungere i fiumi e attraverso di essi il mare, collegando ecosistemi apparentemente distanti ma in realtà profondamente interdipendenti. La ricerca evidenzia quanto sia fondamentale il monitoraggio dei contaminanti dei ghiacciai, andando a espandere la lista degli inquinanti da porre sotto analisi.