di Filippo Del Vecchio
Maso alle pendici di Sas dla crusc © Filippo Del VecchioTutti noi, durante una passeggiata tra i sentieri delle valli altoatesine, ci siamo trovati improvvisamente di fronte a edifici imponenti, spesso arroccati su pendii scoscesi o affacciati sui versanti più soleggiati della montagna. Strutture solide, in legno bruciato dal sole, circondate da prati perfettamente falciati, staccionate in larice lavorate a mano, piccoli orti, fienili, segni di una cura che affonda le sue radici nella tradizione. Sono i masi, presenze emblematiche del paesaggio culturale dell’Alto Adige, espressione concreta di un’antica e profonda simbiosi tra uomo e territorio alpino.
In questa regione, il maso non rappresenta semplicemente un’unità abitativa o agricola, ma un pilastro dell’identità collettiva e della cultura materiale. È al tempo stesso strumento giuridico, modello socioeconomico e dispositivo ecologico che ha contribuito alla coesione e alla stabilità delle comunità locali, garantendo nel tempo un uso sostenibile delle risorse e un presidio costante del territorio.
L'istituto del maso chiuso
La straordinaria vitalità di questo sistema è in larga parte riconducibile all’istituto del maso chiuso (Geschlossener Hof), uno degli elementi più caratteristici dell’ordinamento agrario della provincia di Bolzano. Si tratta di una forma giuridica di matrice germanica, basata sul principio dell’indivisibilità della proprietà agricola: il maso viene trasmesso per intero a un solo erede, il primogenito del nucleo familiare, mentre agli altri spetta un risarcimento economico. Tale assetto evita la frammentazione fondiaria e assicura continuità gestionale da una generazione all’altra.
L’origine del maso chiuso risale addirittura al Medioevo, alla costituzione Tirolese del 1404 che da allora fino a oggi ha perpetuato il principio dell’indivisibilità che è stato rafforzato e codificato nei secoli successivi attraverso consuetudini locali e disposizioni normative, fino all’attuale legge provinciale. Grazie a questo impianto, il maso è rimasto un’unità produttiva stabile anche in contesti montani marginali, preservando il paesaggio rurale e la vita comunitaria che fonda la sua identità su questi edifici. Oggi si contano in Alto Adige oltre 10mila masi chiusi, quasi la metà delle aziende agricole presenti nella provincia e tra questi, circa 1000 sono classificati come Erbhöf, ovvero masi trasmessi all’interno della stessa famiglia da almeno 200 anni, a testimonianza della solidità di questo modello e del forte senso di appartenenza delle famiglie contadine al proprio patrimonio.
Basti pensare al maso Wieser e il maso Funtnatscherhof, di proprietà delle rispettive famiglie fin dal 1300.
Maso tradizionale a Corvara in Val Badia © Filippo Del VecchioUna delle caratteristiche più rilevanti dei masi altoatesini è anche la loro posizione; spesso situati tra i 1000 e i 1800 metri di quota, in zone impervie o di difficile accesso, essi costituiscono un esempio virtuoso di agricoltura di montagna resiliente, capace di adattarsi a condizioni climatiche complesse e a una forte stagionalità. Se da un lato queste condizioni impongono limiti produttivi - come il ridotto sfruttamento dei terreni, il clima rigido e i tempi brevi di coltivazione - dall’altro conferiscono ai masi un ruolo strategico nella tutela del territorio. Come delle sentinelle, la loro presenza assicura un presidio umano diffuso che previene l’abbandono delle terre alte, contribuisce alla gestione del paesaggio aperto e alla manutenzione dei versanti montani, riducendo i rischi e i problemi legati al territorio. La coltivazione e l’allevamento in quota, per quanto limitati in termini di resa quantitativa, mantengono vive conoscenze agrotecniche tradizionali, garantiscono un utilizzo attivo e sostenibile di spazi che altrimenti sarebbero destinati al degrado.
A differenza di molte aree alpine italiane dove il frazionamento della terra e lo spopolamento hanno portato all’abbandono delle superfici agricole, in Alto Adige quasi tutto il terreno disponibile continua a essere vissuto dalle famiglie che da generazioni lo coltivano, proprio grazie all’efficacia del modello del maso chiuso, che si è rivelato capace di coniugare interessi familiari, sostenibilità ambientale e coesione territoriale.
Il maso come meta per un turismo più consapevole
Negli ultimi decenni, inoltre, il maso ha assunto una nuova centralità nel sistema turistico locale, diventando parte integrante dell’offerta agrituristica e culturale. L’ospitalità rurale, gestita direttamente dalle famiglie, permette ai visitatori di entrare in contatto con la quotidianità del maso e con il lavoro agricolo in montagna vivendo un’esperienza autentica e contribuendo a una fruizione responsabile del paesaggio.
Il maso chiuso rappresenta dunque molto più di una forma di proprietà ma un modello di gestione integrata del territorio, un elemento di resilienza identitaria, sociale e culturale, uno strumento efficace per affrontare le sfide attuali poste dalla crisi climatica, dalla frammentazione del paesaggio e dal progressivo spopolamento delle aree montane. In un’epoca in cui molte zone alpine rischiano l’abbandono o la banalizzazione turistica, l’esperienza secolare del maso chiuso dimostra come la tradizione possa diventare una risorsa dinamica per il futuro, offrendo una visione concreta di sviluppo sostenibile e radicamento territoriale.