Il rifugio Quintino Sella al Monviso © archivio rifugio Quintino SellaNegli ultimi giorni ha suscitato un acceso dibattito l’editoriale pubblicato sul numero 02/25 della rivista Bergeerleben, in cui la vicepresidente dell’Alpenverein Südtirol (AVS), Ingrid Beikircher, lancia la proposta – ancora non ufficiale – di attribuire ai rifugi dell’Alto Adige denominazioni “autoctone”, radicate nei luoghi, nei monti e nei toponimi locali. La proposta, dichiaratamente intesa come spunto di riflessione, ha immediatamente acceso l’attenzione mediatica, tra entusiasmi, perplessità e reazioni critiche.
A intervenire con toni chiari ma misurati è il Vicepresidente Generale del Club Alpino Italiano, Giacomo Benedetti, con delega ai Rifugi e Opere Alpine.
Benedetti, come valuta la proposta AVS di rinominare i rifugi altoatesini secondo la toponomastica locale?
La proposta, così come è stata formulata, è legittima come riflessione, ma dev’essere inquadrata nel giusto contesto. Il Club Alpino Italiano non ha mai promosso, né previsto, alcuna direttiva centralistica per cambiare i nomi dei rifugi, né in Alto Adige né altrove. Non è il nostro stile e non rientra nella nostra visione.
La nostra rete di rifugi, la più estesa d’Europa, è gestita in modo decentrato, nel rispetto dell’autonomia delle sezioni locali. Ogni rifugio è parte integrante della comunità che lo ha costruito, mantenuto e vissuto. Per questo, ogni eventuale cambiamento di nome può avvenire solo su iniziativa della sezione proprietaria, a seguito di un dialogo approfondito con il territorio, e tenendo conto della storia, delle tradizioni e del significato che quel nome porta con sé.
Il Vicepresidente Generale Giacomo Benedetti al bivacco Bertoglio (Zona Monviso)Cosa rappresenta, per il CAI, il nome di un rifugio? È solo un’etichetta o qualcosa di più?
È molto di più. I rifugi del CAI non sono alberghi d’alta quota: sono presìdi culturali, ambientali e sociali. Ogni nome racconta una storia: a volte è legato a un alpinista caduto, a un episodio storico, a una vetta, a una lingua. Rinominare un rifugio non è come cambiare il nome a un ristorante. È un atto identitario, delicato, che va maneggiato con rispetto.
Qual è per lei la vera funzione di un rifugio, oggi?
Lo dice il nostro Regolamento Rifugi, e lo ripeto volentieri: “Il rifugio è, per ogni socia e ogni socio del CAI, una casa in montagna. Una casa aperta, dove ci si accoglie con semplicità, ci si incontra, ci si racconta. Dove si costruisce quella comunità che è il cuore del nostro Club Alpino e dei Club Europei confratelli.”
Ecco, la vera missione non è rinominare i rifugi, ma mantenerli vivi, inclusivi, accessibili, in armonia con la montagna e con chi la vive. È su questo che dobbiamo concentrare le nostre energie.