Riccardo Cassin a 78 anni sulla via aperta nel 1937 alla nord-est del Pizzo BadileLa parete nord-est del Pizzo Badile è liscia, bellissima e non finisce mai. Con i mezzi tecnici degli anni Trenta è la sfida estrema, una prova di astuzia e resistenza. Per questo attira Riccardo Cassin, che il 14 luglio 1937 si lancia in parete con i forti e fidati Ratti ed Esposito, sotto un cielo lunatico, umido e inaffidabile. Con le previsioni di oggi nessuno attaccherebbe il Badile con quel cielo, ma Cassin non ha né internet né i bollettini meteorologici, e poi ha poco tempo con qualunque tempo. In parete incontra Molteni e Valsecchi di Como, due alpinisti più lenti e deboli dei lecchesi, anche male equipaggiati; Riccardo li rimorchia sul muro immenso.
Piove, grandina, fa freddo, non sembra neanche estate, ma Cassin non molla e sale la lavagna, scovando la via in un dedalo di placche senza respiro e senza prospettiva: “Proseguiamo ancora per una trentina di metri e alle 21 siamo su un pianerottolo che si presta per passare la notte”. Appena si sono sistemati per il bivacco si scatena un violento temporale, ma verso mezzanotte il vento del nord spazza le nubi e riporta un’illusione di sereno. Si rivedono le stelle. “Con il sorgere del sole ci riscaldiamo un po’ e riprendiamo la salita”. Al mattino Molteni e Valsecchi danno segni di esaurimento. A mezzogiorno il cielo si copre di nero e ritorna la pioggia, che si trasforma in grandine e presto in neve. I comaschi sono distrutti, non ce la fanno più. Nevica fitto, si gela e la visibilità è ridotta a un metro. Eppure Cassin non dispera e il terzo giorno li porta tutti in cima. “Sentiamo che la meta sta per essere raggiunta. Ci sembra che lassù ci sia la salvezza”. Verso le sedici la parete è scalata, ma la lotta non è finita. La tormenta infuria sempre più violenta e la neve li avvolge. “Non riusciamo più a orientarci per raggiungere il rifugio Gianetti. I comaschi più pratici della zona non possono e non riescono in quelle condizioni a darci alcun ragguaglio. Intanto si fa notte. Facciamo tutto il possibile per tenere lontana la morte che è in agguato... ma invano”. Molteni e Valsecchi muoiono di sfinimento durante la discesa. Si spengono come candele consumate. All’alba il cielo è terso, ironia della sorte.
“Arrivati alla capanna Gianetti comunichiamo la penosa notizia – conclude Cassin – e ci buttiamo sfiniti sulle cuccette: siamo rimasti cinquantadue ore sulla parete, scalando per trentaquattro ore e per dodici la tormenta ci ha flagellato senza sosta”. Metà vittoria e metà tragedia, come accade nella storia dell’alpinismo.
Riccardo Cassin durante l'apertura della nuova via sulla nord-est del Pizzo Badile © Wikimedia Commons