Il CAI alla Biennale Architettura: “I rifugi sono architetture del limite da difendere”

Alla Biennale Architettura 2025 il Club Alpino Italiano rilancia il valore culturale, ambientale e identitario dei rifugi alpini. Un confronto tra tradizione, innovazione e sostenibilità per preservare l’autenticità della montagna.

Alla 19esima Mostra Internazionale di Architettura, dedicata a “Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva”, il Club Alpino Italiano ha portato uno dei temi più urgenti della contemporaneità alpina: il futuro dei rifugi. Un confronto acceso e visionario, ospitato negli spazi curati da Carlo Ratti, che ha saputo intrecciare architettura, cultura della montagna e cambiamento climatico. L’evento, arricchito dalla partecipazione del Presidente generale Antonio Montani, del Vicepresidente generale Giacomo Benedetti e della nuova SOROA (Struttura Operativa Rifugi e Opere Alpine) guidata da Paola Frigerio, ha offerto una riflessione profonda sul ruolo dei rifugi nella società contemporanea.

Ad aprire i lavori è stato Giacomo Benedetti, che ha colto simbolicamente l’incontro tra Venezia e la montagna: due territori apparentemente lontani, ma entrambi “terre di limite”, fragili e bisognose di cura. “Portare i rifugi alla Biennale – ha detto nel suo discorso – significa riconoscere che non sono edifici tecnici, ma luoghi di cultura, identità e visione”. Un ringraziamento particolare è andato a Carlo Ratti, che ha voluto il CAI all’interno della mostra per affrontare un tema che, come ha sottolineato l’architetto, riguarda non solo l’Italia ma le aree montane di tutto il mondo.

 

Il rifugio: da riparo essenziale a meta turistica

Benedetti ha “disarrampicato nel passato” ricordando le origini dei primi rifugi del CAI, poveri ma geniali, nati come punti d’appoggio essenziali al servizio dell’alpinismo. Quel passato, fatto di stufe, panche, cameroni e sana promiscuità, continua a essere un riferimento etico e culturale. Oggi, però, la trasformazione è evidente: il rifugio è spesso non più un punto di transito, ma la meta stessa della salita. Questo cambiamento ha generato nuove pressioni: menu elaborati, comfort da boutique hotel, servizi sempre più assimilabili al turismo ricreativo. Benedetti non ha nascosto la sua preoccupazione: “Un rifugio non è un albergo. Il CAI non può diventare la più grande catena alberghiera d’alta quota”. Non si tratta di moralismo, ha chiarito, ma di identità. Quando un rifugio perde la sua essenzialità, perde la sua funzione culturale.

 

Cosa è ancora un rifugio?

Tra le domande che sono emerse nel corso del dibattito, una in particolare ha lasciato il punto di domanda alla fine degli interventi: quante delle strutture oggi chiamate “rifugi” sono ancora davvero rifugi? Non una polemica, ma una richiesta di lucidità. È questo il primo grande compito della SOROA, il cui presidente Paola Frigerio ha illustrato gli obiettivi di tutela, monitoraggio e indirizzo delle strutture alpine del Club.

Per Benedetti il valore dei rifugi supera quello economico: sono presìdi territoriali, basi per il soccorso alpino, punti di riferimento per il CAI e “scuole di vita”, soprattutto per i giovani. La “sana promiscuità” dei cameroni – ha spiegato – resta una delle lezioni più importanti che un rifugio possa trasmettere: medici e operai, studenti e pensionati, alpinisti esperti e neofiti dormono fianco a fianco, senza privilegi né barriere. Una forma di umanità condivisa che oggi, in un mondo sempre più frammentato, ha quasi un valore rivoluzionario.

Ovviamente il CAI non rifiuta la modernità. Durante l'incontro si è parlato di rifugi energeticamente autonomi, tecnologicamente innovativi e capaci di monitorare i cambiamenti climatici. La vera sfida sta nell'usare la tecnologia con sobrietà e nel rispetto del paesaggio. “L’obiettivo non è fare rifugi vecchi. L’obiettivo è fare rifugi veri”. Rifugi che sappiano restare architetture del limite: luoghi dove la misura conta più dell’eccesso, dove la mancanza insegna più della disponibilità, dove il paesaggio dialoga con l’edificio senza esserne sopraffatto.

 

Montani: distinguere rifugi e hotel per proteggere la montagna

Nel suo intervento, il Presidente generale Antonio Montani ha richiamato l’urgenza di una distinzione chiara tra rifugi e strutture alberghiere. La facilità di accesso a molte zone montane, infatti, genera overtourism, trasformando alcuni luoghi in mete di massa e snaturandone l’essenza. “Le zone raggiungibili senza fatica – ha ricordato – non sono più montagna”. Servono quindi standard ambientali condivisi, direttive chiare e una visione comune.

A seguire, gli interventi di Mark Wigley (Columbia University) e Carlo Ratti hanno offerto una prospettiva globale. Wigley ha ricordato che il tema dei rifugi in ambienti fragili è dibattuto a livello internazionale e richiede competenze e sensibilità nuove. Ratti ha presentato una riflessione sui bivacchi come modelli di essenzialità e anti-overtourism, in continuità con il suo recente articolo sulle architetture d’alta quota.

Il CAI ha annunciato un nuovo appuntamento nazionale dedicato al valore culturale, ambientale e architettonico dei rifugi. Una tappa necessaria per definire standard, identità e modelli di gestione coerenti con la storia e la missione del Club. Perché – come ricordato più volte durante l’incontro – il rifugio non è un albergo. È un luogo essenziale, educativo, autentico. È la nostra casa in montagna.