Il CAI Eagle Team al Mongioie: un’avventura tra rocce e amicizia

Un emozionante ritorno al rifugio Mongioie per tre giorni di scalate intense, panorami mozzafiato e complicità tra amici.
In scalata © Riccardo Volpiano

Il rifugio Mongioie è situato a 1550 metri su un bellissimo altipiano naturale, sopra il paese di Viozene, al confine tra Piemonte e Liguria, all’interno del parco naturale del Marguareis. Lo visitai per la prima volta nel lontano 2009, all’età di 11 anni, in compagnia dei miei genitori; in quell’occasione fu il nostro punto di appoggio dopo la seconda tappa del tour del Marguareis, un interessante trekking di 4 giorni attorno all’omonima montagna. Purtroppo non sono più andato al Mongioie per molti anni ma, mi sarebbe piaciuto ritornarci in veste di arrampicatore.

A un’ora di cammino dal rifugio si ergono infatti 3 strutture rocciose: la Rocca dei Campanili (la più imponente, al centro), La Rocca Garba (a destra) e le Rocce del Manco (a sinistra). Sono pareti non molto alte, 180 m al massimo, ma caratterizzate da una roccia calcarea di eccellente qualità e una verticalità delle pareti impressionante, tanto da reggere il paragone, seppur in scala ridotta, con altre location ben più famose come il Wenden o il Verdon. In generale lo stile di scalata e il tipo di chiodatura richiedono un livello tecnico e un impegno psicologico medio-alto per riuscire a salire gli itinerari presenti, di conseguenza è raro trovare affollamento su queste pareti. 

In scalata © Riccardo Volpiano

Ritorno al Mongioie

Quando tornai al Mongioie per la prima volta per scalare, era il 2021, ben 12 anni dopo la mia prima visita. Insieme al mio socio, decidemmo di iniziare con le vie più semplici, per poi tentare qualcosa di più impegnativo. Lo scarso allenamento e le 2 giornate magnifiche ci avevano fatto capire una cosa: bisognava assolutamente tornare, ma più in forma. La maggior parte degli itinerari tracciati su quelle pareti infatti è opera di Manlio Motto, famoso scalatore canavesano, da me molto ammirato e rispettato, per la difficoltà, la bellezza e l’impegno delle moltissime vie da lui viste e tracciate, non solo al Mongioie. Negli anni successivi continuava a ronzarmi nella testa l’idea di tornare su quelle rocce per mettermi alla prova sulle vie Motto, che la prima volta non avevo osato affrontare. Ma la mancanza di soci o di condizioni meteorologiche favorevoli o altri impegni mi hanno impedito di tornarci fino a quest’anno, insieme ai miei compagni dell’Eagle Team. Quando il nostro team leader Matteo Della Bordella ci ha comunicato che l’uscita finale si sarebbe svolta proprio lì a fine settembre, ero al settimo cielo: avrei avuto la possibilità di scalare su vie che sognavo da tempo, con ragazzi fortissimi e simpaticissimi, per 3 giorni con meteo eccellente, nel periodo migliore per arrampicare al Mongioie. E così è stato. Tre giorni con cielo blu intenso, aria fresca, grip eccezionale e la linea dell’orizzonte piatta sul mare, che ad un certo punto però si piegava per ricalcare la forma della Corsica, visibile nitidamente dalla cima della Rocca dei Campanili a 2200 m. In 3 giorni ho percorso 3 vie, insieme ad altri ragazzi e tutor del Team: “Ci hai pensato?” e “Teresin” alla Rocca dei Campanili e “Sit de vol” alle Rocce del Manco. Ognuna di esse mi è rimasta impressa per la particolarità delle forme della roccia (dalle “gocce” alle “cannellures”), la sua aderenza pazzesca e l’eleganza dei movimenti che erano richiesti per riuscire a salire, una vera e propria “dance escalade”, come avrebbero detto i francesi. 

Nonostante durante l’estate io abbia arrampicato prevalentemente su roccia granitica, ho avuto un buon feeling con la roccia e le prime 2 vie sono riuscito a salirle senza mai cadere, con mio grande stupore e soddisfazione. Il terzo giorno invece, complice la stanchezza e la pelle dei polpastrelli ormai ridotta a zero, la salita si è rivelata ben più impegnativa e numerose cadute sono state inevitabili. Le altre cordate del Team hanno ripetuto altre vie sulle medesime pareti e ci siamo sempre ritrovati alla sera al rifugio, davanti al caminetto acceso per condividere la cena e le esperienze e le avventure della giornata di ognuno. Mentre si arrampica si sentono in sottofondo solo i campanacci delle mucche, che pascolano beate sugli ampi e ripidi prati che separano il rifugio dalle pareti. In lontananza, dopo i bassi rilievi liguri, ricoperti dalla tipica vegetazione, si scorge il mare e la Corsica. L’ambiente è quindi molto sereno, mentre gli avambracci, le dita e la testa sono messi a dura prova. È in questi posti che personalmente apprezzo al massimo la scalata, luoghi in cui parete, roccia, ambiente e paesaggio riescono a regalare giornate piene a 360 gradi; quando, in aggiunta, anche la compagnia e il meteo sono perfetti, il risultato è un ricordo indelebile.