Il capriolo, animale molto diffuso ma altrettanto schivo

Enrico Ferraro ci fa conoscere meglio questo ungulato: "Oggi è più facile vederlo anche di giorno, ma non cercate di salvare i piccoli: non sono abbandonati"

Il capriolo (Capreolus capreolus) è tra gli ungulati il più diffuso sul territorio nazionale e la sua presenza spazia dalla pianura alle montagne, ambito collinare incluso. Non è difficile incrociarlo durante un trekking, anche più di camoscio e stambecco, che richiedono all'escursionista se non altro di spingersi a quote più elevate. Enrico Ferraro, tecnico faunistico e accompagnatore di media montagna, inquadra per noi l'animale, in un contesto nazionale in continuo mutamento. “Il capriolo lo trovi un po' dappertutto: anticamente distribuito in tutta Italia, arrivò al minimo storico appena dopo la seconda guerra mondiale, con presenze quasi esclusivamente nelle Alpi nord-orientali e Valtellina e qualche nucleo in Toscana (Maremma), nel Gargano e in Calabria. Attualmente la sua distribuzione è notevolmente aumentata, e lo troviamo con una distribuzione continua praticamente in tutte le Alpi e l’Appennino centro-settentrionale, fino anche in pianura, oltre che con diversi piccoli nuclei isolati nella porzione meridionale dell’Appennino. Sul territorio italiano vi è un’unica specie (Capreolus capreolus), ma oltre alla sottospecie nominale (Capreolus capreolus capreolus) in Italia è presente anche la sottospecie italica (Capreolus capreolus italicus), seppur in piccoli nuclei relitti nell’Appennino centro-meridionale: in Maremma meridionale, nella tenuta presidenziale di Castelporziano, nel Parco nazionale del Gran Sasso, nel Parco nazionale del Cilento, nel Gargano e sui Monti di Orsomarso in Calabria”.


Che tipo di ambiente predilige?
È il tipico animale ecotonale: noi lo vediamo nelle zone di margine bosco-prato, avendo come habitat ideale quello in cui sono presenti sia delle aree aperte che chiuse. In Italia da tempo stiamo assistendo a un aumento della superficie boschiva, con la chiusura dei pascoli e la riduzione di molte zone aperte, salvo rari e localizzati casi, come per esempio le aree aperte successive alla tempesta Vaia. Attualmente, anche per la modifica ambientale, stiamo assistendo probabilmente ad un calo delle consistenze. Dico probabilmente perché l'ultima pubblicazione a livello nazionale che riporta le consistenze [Banca dati ungulati, edita da ISPRA, ndr] è oramai molto datata, pubblicata nel 2009 e riferita in particolare ai valori registrati nel 2001 e 2005. Nel 2000 i caprioli erano 336mila, nel 2005 425mila, ma da allora l’impressione è quella di un calo generale della specie, per una serie di concause: come detto certamente fattore importante è il cambiamento ambientale, ma concorrono anche altri fattori, ed in particolare quelli relativi alla gestione venatoria della specie, alla competizione con altri ungulati, cervo in particolare e, in misura minore, il daino, ed infine anche la predazione da parte del lupo. 


Che tipo di vita svolge il capriolo?
Rispetto agli altri ungulati, che siamo abituati a vedere in branchi, il capriolo è un animale tendenzialmente solitario, anche se nel corso dell’anno le diverse fasi comportamentali portano a modificare la gregarietà. Durante la primavera e l’estate in generale prevale l’aspetto solitario della specie, sia per le femmine, che vivono isolate, sia per i maschi: in quella fase hanno un comportamento territoriale, difendendo quindi un territorio proprio dall’intrusione degli altri maschi, perlomeno fino al periodo riproduttivo, essenzialmente tra la fine di luglio ed il mese di agosto. Rispetto agli altri ungulati, il capriolo ha un’altra particolarità: dopo la riproduzione e le prime suddivisioni cellulari degli ovuli fecondati, si entra in una fase di stasi, chiamata diapausa embrionale, che perdura per quattro mesi circa. Solo dalla metà di dicembre riprende lo sviluppo, portando la femmina a partorire, di norma, due piccoli. Anche sotto questo aspetto rileviamo una differenza rispetto agli altri ungulati selvatici italiani, cinghiale escluso, che di norma partoriscono un solo piccolo. Il parto avviene in primavera, tra la fine di aprile e giugno, i piccoli rimangono con la madre per circa un anno. Dopo la metà di agosto per le femmine e a novembre, circa, per i maschi, gli individui iniziano a formarsi dei gruppi invernali, con un’organizzazione tendenzialmente matriarcale.


Mai avvicinare i piccoli: è giusto?
Assolutamente sì: è comune, dopo il periodo dei parti, trovare i piccoli di capriolo, ma anche quelli di cervo, accucciati nell'erba alta, immobili. Questo non significa assolutamente che la madre li abbia abbandonati, ma semplicemente si tratta di una strategia che permette di nasconderli ai predatori. Cosa assolutamente da non fare è di toccare il capriolo: se la madre dovesse sentire sul piccolo o nelle sue vicinanze l'odore di un umano, potrebbe non riconoscerlo e abbandonarlo. E altra cosa da evitare è quella di prendere questi piccoli e portarli alla forestale o a qualche centro di recupero degli animali selvatici (CRAS): la femmina tornerà di certo ad allattare e recuperare i suoi piccoli, per cui non devono assolutamente essere toccati e rimossi dall’ambiente in cui sono. Sempre più, purtroppo, assistiamo al recupero di animali selvatici, piccoli di capriolo in particolare ma anche di altre specie, fino anche al lupo, da parte di cittadini che sono totalmente ignari del comportamento di questi animali.


Come fa il maschio a difendere il proprio territorio?
In primavera inizia il periodo territoriale, dove i maschi man mano prendono possesso di un territorio, dove normalmente al suo interno ci sono una-due femmine, e lo difendono dall’intrusione di altri maschi. Lo fanno marcando attivamente il territorio, sia con dei fregoni - ovvero attraverso lo sfregamento del trofeo, ma anche marcando la pianta con il suo odore, dato dalle ghiandole presenti sul muso-, sia con le raspate, ovvero “grattando” il suolo con le zampe e rilasciando, attraverso altre ghiandole, l’odore nel terreno. Infine non è raro sentire l’abbaio del capriolo, che in questa fase il maschio lo fa come segnale di territorialità, anche se è possibile sentirlo sia dai maschi che dalle femmine durante tutto l’anno non tanto come senso di territorialità ma come segnale di pericolo.


Quali sono le tracce della presenza di un capriolo?
Oltre a quelle già riportate sopra, legate alla territorialità del maschio, possiamo trovare la brucatura delle gemme, così come le orme e gli escrementi. Impronte ed escrementi richiedono un minimo di conoscenza, perché di fatto per tipologia e forma sono simili a quelle del camoscio o del cervo, ma differiscono certamente nelle dimensioni, essendo quelle del capriolo orme più piccole e gli escrementi di dimensioni minori.

 

Come cambia la colorazione in inverno?
Il mantello con la muta – tra fine settembre e il mese di ottobre - è più spesso e ha una colorazione grigio-bruna, invece di quella rossiccia del manto estivo: come tutti gli ungulati le colorazioni più scure del manto invernali, fino a quelle nere nel caso del camoscio, aiutano a riscaldarsi maggiormente. Con il manto invernale si rendono anche evidenti due differenze tra le femmine e i maschi, che sono fondamentali per la distinzione dei sessi nel momento in cui il maschio ha perso il palco e deve ancora riprendere la crescita: si tratta della forma dello specchio anale e la presenza della falsa coda nella femmina. Lo specchio anale è formato da una grande macchia di peli bianchi nella parte perianale di entrambi i sessi, che però prende una forma di rene -o fagiolo- nel maschio, mentre nella femmina è più tondeggiante, a forma di cuore. Inoltre è molto evidente nella femmina una falsa coda, data un ciuffo di peli nella parte posteriore. Nel maschio non è presente la falsa coda, ma è presente un ciuffo di peli che contornano gli organi genitali, chiamato anche “pennello”.


Cosa ci dice il palco di un capriolo?
Per prima cosa sottolineerei come corretto l’uso del termine “palco” per il capriolo e il cervo, a differenza dei bovidi, come il camoscio e lo stambecco, in cui si parla di corna. Il palco è formato da un vero e proprio tessuto osseo, a crescita rapida, presente solo nei maschi, e che cresce e viene perso ogni anno, con un ciclo regolato dagli ormoni. Tendenzialmente il primo anno i caprioli presentano un palco puntuto, dal secondo anno in avanti a tre punte, tipico della specie. Tendenzialmente quello che si vede nel palco è che negli animali adulti sono presenti trofei di maggiori dimensioni e soprattutto maggior peso, dato dal maggior volume, per poi con l’avanzare dell’età regredire a trofei con meno punte o poco pronunciate, spesso in contrasto con una notevole perlatura della rosa -la parte basale del palco- e delle stanghe, caratteristiche queste invece che sono poco evidenti nel trofeo dei caprioli giovani.


Quanto vive un capriolo?
L'età è certamente molto variabile, a causa di una serie di fattori. In bibliografia si trovano massime, in media, attorno ai 12-13 anni per i maschi e 15-16 anni per le femmine. Raramente di più, mentre di fatto si riscontrano età mediamente anche molto inferiori, specie nei maschi, soprattutto per la gestione venatoria della specie. Quello che si è visto, anche da recenti lavori fatti con l’Università di Sassari in Trentino e che confermano quanto già pubblicato altrove, è che dopo gli 8-10 anni, con l’aumentare dell’usura dei denti, il peso degli adulti inizia a calare molto velocemente.


I momenti migliori per vederli sono alba e tramonto?
Tendenzialmente si, come le altre specie, anche se recentemente quello che si nota è anche una maggiore attività, per cui anche maggiore avvistabilità, anche durante le ore diurne: questo potrebbe essere una risposta antipredatoria nei confronti del lupo, anche se sarebbe un aspetto da indagare maggiormente. In effetti, però, con il ritorno di questo predatore in aree in cui prima era assente l’impressione è quella che i caprioli siano più attivi nelle ore diurne.