Il caso Confortola in mano all’Himalayan Database. Billi Bierling: "aggiorneremo il database"

Il “caso Confortola” sarà verificato dall’Himalayan Database, guidato da Billi Bierling, che aggiornerà i dati basandosi su testimonianze dirette e prove documentate. Come spiega Bierling: “Se una rivendicazione è incerta, lo diciamo apertamente, ma non attacchiamo né sminuiamo l’alpinista”.
Marco Confortola in vetta al Gasherbrum I © Facebook Regione Lombardia

Il “caso Confortola”, con i dubbi sollevati sulle sue salite himalayane, è ormai ovunque. Dopo le prime dichiarazioni di Silvio Mondinelli e Simone Moro, pubblicate su Lo Scarpone, la querelle sulle vette realmente raggiunte dall’alpinista di Santa Caterina Valfurva ha lasciato la ristretta cerchia degli “addetti ai lavori” per raggiungere le maggiori testate nazionali e internazionali. A livelli più bassi la discussione è spesso divisa tra sostenitori e detrattori. Difficile trovare un’unica voce comune su questa vicenda, capace di mettere la parola fine al dibattito. Per l’alpinismo non esiste infatti, come accade per lo sport, un organismo ufficiale incaricato di certificare le vette.

L’unico punto di riferimento riconosciuto a livello internazionale, per le vette dell’Himalaya nepalese, rimane l’Himalayan Database, un archivio indipendente che da decenni raccoglie, ordina e - quando necessario - mette in discussione le rivendicazioni degli alpinisti.

A guidarlo oggi c’è Billi Bierling, giornalista tedesca e alpinista, che per vent’anni ha lavorato al fianco di Miss Elizabeth Hawley, la leggendaria cronista delle spedizioni in Nepal. Con oltre 90mila nomi registrati e un lavoro di verifica che si basa su testimonianze dirette, incrocio di dati e, sempre più spesso, indagini approfondite sui casi controversi, l’Himalayan Database è diventato una sorta di “memoria collettiva” dell’alpinismo himalayano.

Bierling, che ha scalato sei degli Ottomila, unisce la sensibilità della cronista con l’esperienza diretta di chi ha vissuto le grandi montagne alla competenza acquisita lavorando a diretto contatto con Miss Hawley. Abbiamo deciso di intervistarla per comprendere meglio quale sia il funzionamento del database, scoprire come vengono gestite le dispute e perché rigore e rispetto devono sempre andare di pari passoE, soprattutto, per capire come l’Himalayan Database intenda gestire il “caso Confortola”, oggi al centro delle polemiche alpinistiche.

 

Billi, Andiamo subito al sodo, come è iniziata la vostra indagine sulle salite di Marco Confortola e cosa l’ha innescata?
A seguito della protesta della comunità alpinistica italiana riguardo alle rivendicazioni di vetta di Marco Confortola, e dopo diversi scambi di messaggi con Simone Moro, è risultato chiaro che il team dell’Himalayan Database dovesse condurre un’indagine propria. 

 

Come l’avete gestita?

Puntiamo a basarci su informazioni di prima mano quando trattiamo tali dispute. Ho contattato Silvio Mondinelli e altri alpinisti che si trovavano sulle stesse montagne con Marco, ed erano disposti a condividere le loro testimonianze. Stiamo attualmente raccogliendo prove e nel prossimo aggiornamento, previsto per novembre 2025, aggiorneremo di conseguenza l’Himalayan Database.

 Per quanto riguarda Marco, lo abbiamo contattato per dargli l’opportunità di rispondere a queste affermazioni; tuttavia, non abbiamo ancora ricevuto risposta.

 

Il vostro lavoro è poco noto al pubblico. Quando ricevete e verificate una rivendicazione di vetta, quali tipi di prove sono più importanti per voi? Foto, dati GPS, testimoni oculari o rapporti ufficiali?
Tradizionalmente Miss Elizabeth Hawley, e in seguito il resto del team, intervistava le spedizioni nei loro hotel, annotando a mano i loro resoconti su moduli che venivano conservati nel suo ufficio. (Questi documenti cartacei sono ora archiviati presso l’American Alpine Club a Golden, CO, USA) A meno che una spedizione non avesse scalato una nuova via, tentato una nuova montagna o ci fossero dubbi su una rivendicazione di vetta, non insisteva sulle foto di vetta. Il suo approccio si basava sulla fiducia, e questo rimane il fondamento per me e per il team oggi.

Naturalmente, l’alpinismo ha sempre visto alcune persone piegare la verità, ma sia Miss Hawley sia io abbiamo creduto che la maggior parte degli alpinisti sia onesta. È anche importante ricordare che l’Himalayan Database non è un ente certificatore; non rilasciamo certificati di vetta. Quello è il ruolo del Ministero del Turismo, con il quale lavoriamo a stretto contatto. Se qualcuno distorce la verità, allora i dati possono risultare inaccurati, ma come diceva Miss Hawley: “Sono loro a dover vivere con la loro bugia”.

 

Chiara e diretta, Miss Hawley… Come gestite però i casi in cui un alpinista non risponde o non collabora? Il silenzio può influenzare l’esito dell’indagine?
Nell’Himalayan Database abbiamo due categorie per le salite dubbie. La prima è “non riconosciuta”, che usiamo quando è chiaramente evidente che un alpinista non ha raggiunto la vetta. Sono un esempio i casi di foto di vetta falsificate o altre prove inequivocabili.

Se l’alpinista insiste comunque di aver raggiunto la vetta, la salita è segnata con una (u) di “unrecognised”. Un esempio noto è la coppia di poliziotti indiani, Dinesh e Tarakeshwari Rathod, che falsificarono la loro foto di vetta nel 2016.

 

Qual è invece la seconda categoria?
La seconda categoria è “contestata”. Questa viene usata quando ci sono forti prove esterne che suggeriscono che un alpinista non abbia raggiunto la vetta, anche se sostiene il contrario. Una salita segnata come contestata non significa automaticamente che il nostro team dubiti dell’impresa, ma se esistono controprove credibili, possiamo assegnarle una (d). Un caso simile è la salita in solitaria di Ueli Steck sulla parete sud dell’Annapurna I. Miss Hawley ed io lo intervistammo insieme e credemmo al suo racconto - e io ci credo ancora - ma poiché anche le prove contrarie erano forti, fummo essenzialmente costretti a segnarla come contestata.
In entrambe le categorie, l’obiettivo è la trasparenza. Presentiamo le informazioni, e poi spetta agli utenti dell’Himalayan Database studiare i dettagli e decidere da soli cosa, e chi, credere.

 

Prima ci dicevi che il prossimo aggiornamento dell’Himalayan Database è previsto per novembre 2025, come mai in questo periodo?
Perché raccogliamo una grande quantità di informazioni ogni stagione e occorrono diversi mesi prima che il database possa essere completamente aggiornato. 

 

Come funziona questo processo di revisione e pubblicazione?

Ci basiamo sui rapporti del Ministero del Turismo così come sulle agenzie di trekking nepalesi e, come si può immaginare, può volerci un bel po’ prima che le loro informazioni ci raggiungano. Inoltre, seguiamo direttamente i contatti con gli alpinisti, cosa che richiede anch’essa tempo. Una volta raccolto tutto il materiale, Richard Salisbury, che gestisce il lato digitale del database, deve inserire tutto nel sistema, un altro processo che richiede tempo.

 

Quella dell’Himalayan Database è una macchina complessa, costituita da una moltitudine di persone. Da chi è formato l’attuale team e come organizzate il monitoraggio di così tante spedizioni ogni anno?
Richard Salisbury è la mente dietro al database digitale, Richard vive ad Ann Arbor e ha lavorato con Miss Hawley dai primi anni Novanta. Le si avvicinò per la prima volta durante un tentativo all’Annapurna IV, chiedendole se valesse la pena digitalizzare il database. Tre donne nepalesi iniziarono presto a trascrivere gli appunti di Miss Hawley nel sistema, un processo che richiese più di dieci anni.
Tobias Pantel, cittadino tedesco che aiuta a intervistare i team delle spedizioni, raccogliere informazioni dalle agenzie di trekking e supporta il coordinamento con il Ministero del Turismo.
Rodolphe Popier, cittadino francese focalizzato su nuove salite, nuove vie e ripetizioni significative. Oltre a contribuire all’Himalayan Database, gestisce la cronaca della rivista del Club Alpino Francese e collabora con Lindsay Griffin sia per l’American Alpine Journal sia per i Piolets d’Or. Vive vicino a Chamonix, in Francia.
Jeevan Shrestha, cittadino nepalese che ha lavorato con Miss Hawley dal 1997 intervistando gli alpinisti che vengono a scalare nell’Himalaya nepalese.
Lisa Choegyal, amica di lunga data di Elizabeth Hawley e nostra direttrice finanziaria.
Billi Bierling, io, cittadina tedesca, giornalista di formazione, esperta di comunicazione per l’Aiuto Umanitario Svizzero e team leader dell’Himalayan Database. Ho iniziato a collaborare con Elizabeth Hawley nel 2004 e, ispirata dalle grandi montagne, ho scalato sei dei 14 Ottomila.

 

Un team molto numeroso…

Negli anni abbiamo avuto anche volontari che ci hanno aiutato a incontrare i team delle spedizioni. Tuttavia, poiché tutto questo lavoro è svolto su base volontaria, non è remunerato, il che può renderlo insostenibile per molte persone.
Monitorare le spedizioni era molto più semplice ai tempi di Miss Hawley. Lei, Jeevan ed io chiamavamo le agenzie di trekking che sapevamo organizzassero spedizioni - forse 70 o 80 in totale - all’inizio di ogni stagione per sapere chi sarebbe arrivato e dove avrebbe soggiornato. Una volta raccolte tutte le informazioni, le organizzavamo per data, e quando la stagione iniziava, chiamavamo gli hotel nel giorno dell’arrivo delle spedizioni per incontrarle lì. Poi fissavamo un incontro con il capospedizione per raccogliere i dati biografici dei membri e degli sherpa e conoscere i loro piani, e li incontravamo di nuovo dopo la spedizione.
Dal 2010 circa, quando le grandi compagnie nepalesi hanno preso il sopravvento e i giorni delle classiche spedizioni con un capospedizione erano perlopiù finiti, questo sistema è diventato impossibile da mantenere. Anche se abbiamo ancora contatti diretti con le spedizioni regolari che vengono ogni anno, oggi ci affidiamo molto alle informazioni provenienti dai social media e da altri siti di notizie di montagna.

 

Rimane che database è più che un contenitore di semplici statistiche. È diventato una memoria collettiva. Come ti senti personalmente riguardo a questa responsabilità?
Quando ho iniziato a collaborare con Miss Hawley nell’autunno 2004 immaginavo che sarebbe stato solo per una stagione o forse un anno. La vita, tuttavia, aveva altri piani per me, e ho continuato questo lavoro fino ad oggi. Mi sento incredibilmente fortunato ad aver conosciuto così da vicino Miss Hawley e ad aver imparato così tanto da lei. 

Far parte della scena alpinistica in Nepal è anche un dono meraviglioso che custodisco profondamente. Non avrei mai immaginato di diventare in parte responsabile del database, ma così è andata. A volte trovo difficile prendere decisioni, e sono grata di lavorare con un team straordinario che mi sostiene sempre. In momenti come questi però, mi manca Miss Hawley e vorrei poterle chiedere cosa farebbe. Nel caso di Marco Confortola sono certa che la sua risposta sarebbe stata simile a ciò che una volta disse riguardo a Miss Oh (Billi Bierling fa riferimento all’alpinista sud coreana Eun-Sun Oh, nota anche come Miss Oh, che nel 2010 dichiarò di aver raggiunto la vetta del Kangchenjunga: dopo indagini condotte anche dall’Himalayan Database, quella salita venne segnata come non riconosciuta, nda): “Lasciamo che se ne occupi ora la comunità alpinistica italiana, e noi prenderemo le nostre decisioni una volta raccolte abbastanza informazioni”.
In breve, mi sento onorata che Miss Hawley si sia fidata di me nel continuare il suo lavoro insieme al team.

 

Come ci hai ricordato, citando il caso di Miss Oh, non è la prima volta che sorgono dubbi su una salita registrata. Quali casi passati ricordi e quali lezioni ne hai tratto?
Fin dall’inizio dell’alpinismo himalayano alcune persone hanno distorto la verità. Ma se confronti i numeri - l’Himalayan Database attualmente registra 90.850 membri, inclusi oltre 20mila staff nepalesi - i casi di salite non riconosciute (91 membri e 23 staff d’alta quota) o contestate (129 membri e 24 staff d’alta quota) restano molto pochi in proporzione.
Alcuni casi sono già stati menzionati sopra, ma oltre ad analizzare le informazioni fornite dagli intervistati, aiuta anche avere una buona comprensione delle persone. Miss Hawley certamente aveva questo intuito, e mi piace pensare che dopo 20 anni di lavoro con il database, anch’io ne abbia sviluppato un po’, anche se ovviamente nulla a confronto con lei. Miss Hawley era una donna unica, e le sue scarpe sono troppo grandi per me. Mi sento però incredibilmente fortunata ad aver imparato così tanto da lei. Insieme al team cerco di portare avanti il database al meglio delle mie possibilità. Quando Miss Hawley è morta, un pezzo di storia dell’alpinismo è morto con lei.
Un caso che ricordo bene è proprio quello dell’alpinista sudcoreana Eun-Sun Oh, che stava tentando la salita di tutti i 14 Ottomila. Affermò di aver raggiunto la vetta del Kangchenjunga nel 2009, ma sorsero rapidamente dubbi, specialmente nel suo Paese. Una volta che la storia esplose in Corea del Sud, Miss Hawley iniziò la sua indagine, che portò infine a segnare la salita come non riconosciuta. Durante il processo, ricordo che mi disse: “Lasciamoli chiarire prima in Corea del Sud, e poi faremo le nostre indagini”.

 

Una volta conclusa un’indagine quanto del materiale raccolto diventa pubblico? Quali criteri guidano le vostre decisioni sulla trasparenza?
L’Himalayan Database è liberamente accessibile al pubblico, quindi chiunque può vedere le decisioni che prendiamo. Non vedo alcun problema di trasparenza in questo senso.
Fondato da Elizabeth Hawley, l’Himalayan Database serve oggi come risorsa vitale per la comunità alpinistica internazionale. Come ho detto in precedenza, non è un ente certificatore. Il nostro ruolo è fornire informazioni accurate e servire chiunque abbia bisogno di dati sull’alpinismo himalayano in Nepal, inclusi ricercatori, studi medici e altri stakeholder. Quello che è iniziato come un hobby è cresciuto fino a diventare un’istituzione.
Incontrare Miss Hawley era una parte importante di qualsiasi spedizione in Nepal. Quando gli alpinisti arrivavano a Kathmandu, non vedevano l’ora di conoscerla, era una leggenda. Ma la scena alpinistica è cambiata. Molti giovani alpinisti oggi non conoscono più l’Himalayan Database né ricordano Miss Hawley, il che è un peccato. Da quando mi ha passato la responsabilità nel 2016, è diventato impossibile mantenere il suo livello di impegno personale.

 

Come mai?

Ci sono semplicemente troppi alpinisti oggi, e servirebbe un esercito di 100 persone per parlare con tutti.
Oltre a condurre le nostre interviste, siamo grati al Ministero del Turismo del Nepal per condividerci le loro informazioni. Siamo ancora molto interessati a incontrare di persona i team delle spedizioni, specialmente quelli che scalano nuove montagne o tentano nuove vie, perché questo era lo scopo originale del database: registrare quanti più dettagli possibili sulle vie sconosciute. Per le vie commerciali su montagne ben conosciute - in particolare la maggior parte degli Ottomila - il livello di dettaglio è meno critico, perché le spedizioni generalmente usano gli stessi campi e seguono itinerari simili.

 

Prevedete di introdurre standard di verifica più rigorosi o nuovi strumenti tecnologici in futuro, anche in risposta a casi come quello di Confortola?
Al momento, non abbiamo piani ma vediamo cosa riserva il futuro.

 

Un’ultima domanda: come bilanciate la necessità di rigore e trasparenza con il rispetto dovuto agli alpinisti, specialmente nei casi delicati?
Per me rigore e trasparenza non sono negoziabili, perché il valore dell’Himalayan Database si fonda sulla sua accuratezza e credibilità. Allo stesso tempo, sono molto consapevole che dietro ogni spedizione ci sono persone che mettono cuore, energia e talvolta la loro vita nell’arrampicata. Nei casi delicati cerco di seguire l’esempio di Miss Hawley: raccogliamo quante più informazioni possibile, ascoltiamo attentamente ed evitiamo di affrettare le conclusioni. Se una rivendicazione è incerta, lo diciamo apertamente, ma non attacchiamo né sminuiamo l’alpinista. Il rispetto significa dare alle persone un ascolto equo e riconoscere il loro impegno, mentre il rigore significa prendere decisioni solo quando i fatti sono chiari. Trovare questo equilibrio non è sempre facile, ma credo che sia l’unico modo per onorare sia gli alpinisti sia l’integrità del record.