Il Dente del Gigante: “inaccessibile con mezzi onesti”

La storia di due tentativi opposti sulla stessa roccia: prima la rinuncia elegante di Mummery e Burgener, poi la prima salita armata degli italiani. Un episodio simbolico che segna una svolta tra tra due modi di concepire l'alpinismo.

Nell’estate del 1880 Albert Frederick Mummery e la guida Alexander Burgener hanno fretta di posare le mani sul Dente del Gigante e salgono verso l’ignoto alle luci di un’imprecisata alba di piena estate. Quando arrivano ai piedi della stele di protogino, sul nevaio della Gengiva, il canino svetta liscio e strapiombante, ma Mummery e il montanaro di Saas intuiscono il passaggio diagonale che dal lato sud porta sulla parete occidentale, nell’ombra del mattino. Burgener affronta la placca del Dente striata da una ruga di gelo, raschiando mani e piedi sulla pietra; gli scarponi chiodati fanno scintille, il cuore batte, le dita sanguinano; infine ritorna sconfitto sui suoi passi. Alla base della placca che li ha respinti abbandonano il bastone di legno, segno estremo del loro passaggio. Mummeryprende un pezzo di carta e una punta di matita, scarabocchia qualcosa sul foglio e lo nasconde in una fessura del granito. Così se qualche pretendente si spingerà alla base del Dente leggerà absolutely inaccessible by fair means” - assolutamente insuperabile con mezzi onesti -. Cinque parole destinate a fare la storia dell’alpinismo.

 

Se non si può con mezzi onesti…

Il messaggio non può essere capito, e tantomeno imitato, perché è troppo all’avanguardia per i tempi. Invece il bastone di legno depositato ai piedi della gran placca viene recuperato dal manipolo di alpinisti italiani armati fino ai denti che, due anni dopo la cavalleresca rinuncia di Mummery e Burgener, assaltano e addomesticano la lavagna di granito con corde, scale, martelli e punte di ferro. “Le guide – racconta Alessandro Sella, uno dei primi salitori – non avevano potuto sormontare il cattivo passo che colla scala a piuoli. Esse avevano attaccato in alto una corda doppia munita di qualche raro nodo. Vi si saliva a forza di braccia coll’aiuto, che pareva scarso, delle ginocchia e dei piedi poggianti sulle protuberanze della roccia, e sopra due ferri piantati verso la metà del camino dal provvido Maquignaz”. Il 29 luglio 1882 è un giorno luminoso per gli uomini del Club Alpino, che giudicano la scalata artificiale del Dente un atto supremo di bravura e coraggio. L’eco della vittoria assume rilevanza nazionale perché la guglia inaccessibile è stata domata in nome della patria da due illustri famiglie dell’alpinismo italiano: i Maquignaz di Valtournenche e i Sella di Biella. Ma la differenza salta all’occhio: Mummery ha lasciato la montagna come l’ha trovata perché altri, se lo desiderano, possano cimentarsi nelle stesse condizioni di incertezza e con identiche probabilità di fallimento. Invece gli italiani sentono l’urgenza di addomesticare la scalata con i fittoni e le corde fisse, perché possa essere ripetuta. Succede da quasi un secolo e mezzo, il rito si ripete ogni giorno d’estate.