Con quasi duemila chilometri di costa, la Sardegna è spesso raccontata attraverso immagini di scogliere battute dal vento, spiagge infinite, baie nascoste nella macchia mediterranea e dune punteggiate di gigli bianchi. Uno stereotipo potente, che tuttavia rischia di oscurare la reale fisionomia dell’isola, dove le aree montuose e collinari rappresentano la netta maggioranza del territorio, mentre le zone pianeggianti non raggiungono il venti per cento della superficie complessiva.
Percentuali che, da sole, non bastano a restituire la complessità del paesaggio sardo. Cime aspre, altipiani calcarei e basaltici, falesie imponenti, canyon profondi, tavolati che ricordano le mesas messicane e le singolari formazioni giurassiche dei Tacchi disegnano un mosaico ambientale di straordinaria ricchezza. In questo contesto si inserisce una costellazione di piccoli borghi montani, spesso arroccati sulla roccia e lontani dai grandi centri abitati, che da decenni fanno i conti con un progressivo svuotamento demografico.
A partire dall’ultimo terzo del Novecento, infatti, l’ottanta per cento del territorio isolano ha visto intensificarsi i flussi migratori verso aree più urbanizzate. L’aumento della speranza di vita e la diminuzione della natalità hanno contribuito alla concentrazione dei servizi essenziali, come scuole e presidi sanitari, nei contesti urbani maggiori, accelerando la marginalizzazione delle aree interne. Lo spopolamento ha effetti profondi sul tessuto socioeconomico e ambientale: se da un lato rallenta la cementificazione, dall’altro comporta l’abbandono delle attività agro-pastorali che per secoli hanno modellato il paesaggio, con la perdita di tradizioni, saperi, biodiversità e di quel presidio umano capace di governare ambienti fragili e in continua trasformazione. In assenza di una gestione antropica consapevole, i territori montani possono subire modificazioni improvvise e traumatiche, con ricadute anche sul piano della sicurezza e dei costi collettivi.
In questo scenario, la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale delle comunità montane dell’isola – dalle produzioni enogastronomiche all’artigianato, dalle bellezze naturali all’ospitalità – diventa una leva strategica per rafforzare l’identità territoriale e generare nuove opportunità occupazionali. Figure professionali legate all’accompagnamento, all’accoglienza, alla ristorazione, ai percorsi culturali e artistici possono rappresentare un presidio concreto contro l’emigrazione, a patto che lo sviluppo avvenga nel rispetto dell’ambiente e delle comunità locali.
È su queste basi che nasce il progetto “Il turismo sostenibile nel contrasto alle marginalità territoriali”, sviluppato da CAI Scuola Cagliari in collaborazione con il Liceo Classico Scientifico Euclide di Cagliari. Un percorso formativo che intreccia didattica, esperienza diretta e riflessione critica, coinvolgendo studenti e docenti in un ragionamento ampio sul futuro delle aree montane sarde.
Le ore di attività in presenza con gli esperti di CAI Scuola e del gruppo ORTAM – Tutela Ambiente Montano del CAI di Cagliari, complessivamente dodici, hanno trovato un naturale completamento nel lavoro curricolare svolto in classe dalle docenti coinvolte, in costante accordo sui contenuti e sulle modalità didattiche. Con la classe 4ªA scientifico, già sensibilizzata lo scorso anno sul tema della carrying capacity legata all’escursionismo sostenibile, il progetto ha approfondito il concetto di turismo sostenibile a partire dalle cosiddette “tre M”: minimizzare gli impatti negativi, mantenere le risorse naturali per le generazioni future, migliorare la qualità della vita delle comunità locali senza comprometterne cultura e tradizioni.
La scelta del territorio di Perdasdefogu per le attività outdoor ha permesso di declinare questi principi in modo concreto. Grazie al contributo di un esperto botanico del gruppo ORTAM, l’attenzione si è concentrata sulle caratteristiche floristiche e vegetazionali dell’area, sulla biodiversità e sugli adattamenti al suolo e al clima, analizzando anche gli effetti delle attività antropiche. La giornata di lavoro sul campo ha offerto agli studenti l’opportunità di osservare direttamente le peculiarità geologiche e ambientali di alcune delle diaclasi presenti nel territorio, come Sa Brecca de Is Tapparas, di conoscere l’organizzazione del museo CEAS locale e di confrontarsi con gli istruttori del Gruppo Grotte Ogliastra, da anni impegnati in un modello di turismo di comunità fondato sul ruolo attivo dei residenti e su una distribuzione equa dei benefici.
Proprio il tema del coinvolgimento diretto delle comunità nella pianificazione, nel coordinamento e nel controllo delle attività turistiche – dalla gestione delle strutture ricettive alla cura del patrimonio culturale e ambientale – ha animato un dibattito approfondito e partecipato durante il viaggio di ritorno. Una riflessione che ha messo in luce come il turismo sostenibile possa diventare una fonte di reddito alternativa o complementare, capace di migliorare le condizioni di vita degli abitanti e di contrastare concretamente lo spopolamento delle aree montane, senza snaturarne l’identità.