In Italia sempre meno figli, ma sulle Alpi c'è una inversione di tendenza

In Italia nascono sempre meno bambini ma sulle Alpi qualcosa sta cambiando. In Valle d'Aosta e nelle Province Autonome di Trento e Bolzano i dati tornano in positivo.

L'Italia si trova da anni ad affrontare una crisi demografica, con un calo delle nascite ormai continuo dal 2008, che ha portato il numero medio di figli per donna a raggiungere minimi storici. Secondo i dati ISTAT di recente diffusi, nel 2024 si è raggiunta una media di 1,18 figli per donna, in calo rispetto all'1,20 del 2023. E la tendenza al decremento sembra confermata dai dati relativi ai primi 7 mesi del 2025, che evidenziano una fecondità pari a 1,13.

Nel 2024 in Italia si sono registrate 369.944 nascite (cittadini residenti in Italia), quasi 10.000 in meno rispetto all'anno precedente, un calo pari a circa il -2,3%. Un trend negativo che viene confermato anche per il 2025, sulla base dei dati parziali, che evidenziano una riduzione delle nascite di circa 13.000 unità (circa il 6,3%) rispetto al medesimo periodo del 2024. 

In questo scenario di decrescita generalizzata, tuttavia, si manifestano delle eccezioni territoriali significative, che vedono come protagonista la montagna

 

Una inversione di tendenza sulle Alpi

Sulla base dei dati parziali raccolti tra gennaio e luglio, le sole regioni ad aver registrato nel 2025 un aumento delle nascite rispetto all'anno precedente, sono la Valle d'Aosta e il Trentino – Alto Adige. In Valle d'Aosta l’incremento è stato pari a +5,5%, nella Provincia Autonoma di Bolzano +1,9% e nella Provincia Autonoma di Trento +0,6%.

Nel medesimo periodo (gennaio – luglio) dello scorso anno, le medesime regioni mostravano dati in linea con il resto della Penisola, ovvero un decremento delle nascite rispetto al 2023, rispettivamente del -7,5% per la Valle d'Aosta, -3,7% per la Provincia autonoma di Bolzano e -1,6% per quella di Trento.

Tre esempi virtuosi di inversione di tendenza lungo l’arco alpino, che però non rispecchiano la condizione media delle montagne italiane, più in generale della Penisola italiana. 

Per comprendere appieno la ragione per cui non sia propriamente corretto parlare, in maniera generalizzata, di "aumento della natalità in montagna", è sufficiente dare uno sguardo ai dati relativi ad altre regioni italiane, caratterizzata da presenza di ampie aree di territorio montano. 

L'Abruzzo, ad esempio, è in assoluto la regione che registra la diminuzione più intensa della natalità a livello nazionale, con un calo del -10,2% rispetto all'anno precedente. A occupare la seconda posizione è la Sardegna, con un decremento del -10,1%. Umbria, Lazio e Calabria mostrano rispettivamente un calo del 9,6%, 9,4% e 8,4%. Riduzioni più contenute si registrano in Lombardia (-3,9%), Marche (-1,6%) e Basilicata (-0,9%).

In linea generale, le percentuali maggiori di calo delle nascite si registrano in Centro Italia (-7,8%) e Sud (-7,2%). Al Nord la situazione appare lievemente migliore (-5,0%).

Questi dati evidenziano come la montagna non sia necessariamente destinata a uno spopolamento, ma che perché si verifichi una generalizzata inversione di rotta e il bilancio demografico torni in positivo, serve supporto. Un supporto che non è da considerarsi sinonimo esclusivo di aiuto economico ma soprattutto di garanzia di servizi essenziali

A livello nazionale, la recente Legge sulla Montagna (L. 131/2025) ha introdotto una serie di incentivi per i piccoli comuni montani, quali bonus natalità, sgravi contributivi per le imprese che adottano lo smart working, favorendo il ritorno e la permanenza nei piccoli borghi, crediti d'imposta per l'acquisto e la ristrutturazione della prima casa nei comuni montani, in particolare per i giovani under 41 e per il personale sanitario e scolastico.

Queste misure fiscali mirano a rendere più conveniente la vita in quota, intercettando il desiderio di molte giovani coppie di trasferirsi in montagna per una migliore qualità della vita e la possibilità di crescere i figli in un ambiente più naturale e meno caotico.

Tuttavia, il successo di queste politiche dipende direttamente dalla capacità di garantire i servizi essenziali. Scegliere tra ambiente urbano e montano, attualmente, equivale a scegliere tra disponibilità e carenza di servizi per le famiglie, quali asilo nido, scuole, connettività digitale efficiente e, soprattutto, un'adeguata assistenza sanitaria

 

Il sogno e le difficoltà di diventare genitori

Indipendentemente dall'altitudine, secondo i dati ISTAT relativi al 2024, la diminuzione delle nascite su scala nazionale riguarda sia i primogeniti che i secondi figli. I primogeniti (pari a 181.487 unità) sono diminuiti del -2,7% rispetto al 2023. Una contrazione che, sebbene diffusa in tutto il Paese, si manifesta in modo più acuto al Sud, dove il calo raggiunge il -4,3%, contro un più contenuto -1,8% al Nord e -2,0% al Centro.

I secondi figli (133.869) segnano un decremento del -2,9%, e quelli di ordine successivo calano dell'-1,5%. Ancora una volta, è il Sud a pagare il prezzo più alto: la diminuzione dei figli di ordine successivo al primo è del -4,3%, un dato che è circa tre volte superiore rispetto al Nord (-1,4%) e al Centro (-1,7%). 

I fattori che contribuiscono alla contrazione della natalità sono complessi e interconnessi, toccando sfere cruciali della vita giovanile. L'allungarsi dei tempi di formazione unito alle persistenti condizioni di precarietà del lavoro costringe i giovani a posticipare l'indipendenza economica, ritardando l'uscita dal nucleo familiare di origine. A questo si aggiunge la crescente difficoltà di accedere al mercato delle abitazioni. Di fronte a tali limiti, la scelta più semplice per le coppie diventa quella di rinunciare o posticipare a data da destinarsi il sogno di creare una famiglia.