Alpeggio - Foto di Laurent Bailliet da Pixabay
Alpeggio a Pila - Foto Rollopack - Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0
Contenitori per il latte - Foto Anna reg - Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0 at
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Alpeggio in Valle d'Aosta - Foto CamDib - Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0
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Alpeggio a Esino Lario - Foto Ysogo - Wikimedia Commons, CC BY-SA 4.0Tra le vette alpine, annualmente si ripete un rito millenario, in grado di scandire le stagioni. Una tradizione ciclica che vede il suo avvio agli inizi della stagione estiva, quando i prati in quota rifulgono di un verde intenso, e termina, generalmente, in autunno, all’arrivo dei primi freddi in quota, segnale dell’inverno in avvicinamento. Stiamo parlando dell’alpeggio.
Termine che non è da intendersi come semplice sinonimo di spostamento del bestiame dalle valli ai pascoli in quota, ma come espressione di una sapienza contadina che, da secoli, collabora nel modellare i versanti, preservare la biodiversità e produrre eccellenze casearie. Oggi, però, l'eco delle campane che annuncia la salita estiva, risuona con una nota di profonda malinconia: l'ombra incalzante della crisi climatica minaccia di spezzare questo legame secolare tra uomo, animali e alta quota.
L'estate 2025 ha reso evidente quanto il cambiamento climatico stia alterando antichi equilibri. Le temperature elevate di inizio estate, associate anche a una scarsa riserva nevosa invernale, ha determinato da un lato il rapido ingiallimento delle erbe, dall’altro una prolungata carenza idrica, che ha portato in alcuni casi gli allevatori a scegliere la via del rientro anticipato a valle.
A testimoniare l’antichità e diffusione di questa pratica lungo l’arco alpina sono le denominazioni con cui essa è riconosciuta, e tramandata. Nomi che appaiono talvolta estremamente distanti dalla lingua italiana, tanto da rendere complicata una ipotesi etimologica, affondando le proprie radici nei dialetti locali.
Tanti nomi per una sola tradizione
L'alpeggio è una pratica tradizionale alpina, che prevede lo spostamento del bestiame dalle stalle ai pascoli in quota (monticazione), con permanenza delle greggi o delle mandrie a quote superiori ai 1.000 metri, tipicamente da giugno a settembre, quando avviene il ritorno alle stalle di fondovalle (demonticazione).
Il termine alpeggio fa riferimento, in particolare, all'edificio (alpeggio o malga) che rappresenta il punto di appoggio, sia per il bestiame che per l’allevatore, caratterizzato dalla presenza delle stalle e di un' area destinata alla trasformazione del latte, dunque un caseificio, o casera, ma viene esteso all'intero processo di salita, permanenza e discesa. La migrazione ai pascoli e dai pascoli, è anche detta transumanza.
I pascoli offrono, all’inizio dell’estate, abbondanza di erbe, ideali per la produzione di un latte di alta qualità, la cui composizione unica conferisce ai formaggi alpini (come Fontina, Bitto, o formaggio di malga) caratteristiche ineguagliabili. Il valore ecologico di questo rito è inestimabile. Il pascolamento controllato previene infatti l'imboschimento delle praterie d'alta quota, favorendo al contempo la conservazione della loro biodiversità.
Il passaggio da fondovalle ai pascoli e viceversa, è scandito da termini locali, veri e propri pilastri del patrimonio culturale, che variano di regione in regione, talvolta anche di valle in valle.
L'atto iniziale, la monticazione, è celebrato ad esempio in Valle d'Aosta con il termine patois o franco-provenzale di inarpa. La discesa è nota come desarpa e avviene, tradizionalmente, attorno al giorno di San Michele (29 settembre). Una eccezione intraregionale è rappresentata dal patois di Cogne, dove il termine inarpa è sostituito da vétéya e desarpa da devétéya, interpretabili come “vestizione" e “svestizione” della montagna.
In Piemonte, dove il pascolo in quota è noto nel gergo dialettale come “Aup” o “Alp”, la salita all’alpeggio diventa Andé a l'Aup. In Lombardia ci si può invece imbattere nell’espressione similare andà a mut, dove “mut” sta per pascoli di monte, dal dialetto bergamasco.
In Trentino è diffuso il termine dialettale desmontegada, mentre in Alto Adige è in uso il termine tedesco almabtrieb. A Sappada, in Friuli Venezia Giulia, si utilizza invece una espressione molto particolare, per identificare nello specifico la festa legata alla demonticazione, che è sappamukki. Niente a che vedere con il giapponese, cui apparentemente potrebbe rimandare, semplicemente un neologismo nato per fusione del nome italiano di Sappada e del termine ladino Ploradisch che indica le vacche, ovvero “mukki”. La discesa dai pascoli diventa spesso occasione di giubilo, una vera e propria festa di paese che vede le mucche sfilare addobbate di ghirlande floreali.
Una manciata di esempi che denota quanto profondo sia il legame tra la pratica pastorale e l'identità locale. Difendere l'alpeggio, con le sue tradizioni e i suoi ritmi, significa difendere l'identità più profonda delle Alpi.