L’ultimo libro di Irene Borgna si intitola Cose che capitano in montagna. Imprevisti e come affrontarli in modo più sicuro e sostenibile (pp. 240, 18 euro), con le illustrazioni di Agnese Blasetti. È da poco uscito nella collana “Il rifugio delle idee” di CAI Edizioni e raccoglie 40 situazioni più e meno critiche che possono succedere durante un’uscita in montagna a escursionisti e alpinisti di ogni livello.
Sono tutte situazioni reali: dall’incontro con la vipera a una zecca che si attacca sotto un’ascella, dalla suola che invece si stacca nel bel mezzo del nulla al telefono che ti molla proprio quando ne hai bisogno, fino alla frontale che si scarica nella notte o al temporale che ci coglie in cresta. Prendere una decisione nel panico è rischioso, pensarci prima, quando si è ancora a casa, può invece orientare verso scelte più azzeccate di altre. Il libro va oltre: non è in ballo solo la sicurezza personale, ma anche l’integrità dell’ambiente montano. Ci sono situazioni in cui una corretta valutazione del da farsi ha infatti un impatto ecologico minore, solo che capirlo non è così facile nemmeno per chi è già un esperto frequentatore di sentieri e pareti.
L’idea del libro risale infatti al periodo post pandemico, in cui la frequentazione della montagna è esplosa e persone come Irene Borgna, insieme all’Area Protetta delle Alpi Marittime per cui lavora, hanno cercato di inventarsi qualcosa per sensibilizzare i neofiti. Ne nacque allora, nell’ambito del progetto europeo Life Wolfalps EU di promozione della coesistenza fra uomini e lupi, un gioco di carte che oggi si può invece comodamente sfogliare in forma di volume, godendosi la narrazione nello stile inconfondibile dell’antropologa savonese che per amore delle montagne si è trasferita in Valle Gesso, nel cuneese. Per sorridere dei propri errori e capire in che modo ogni nostra azione in montagna può fare la differenza.
Irene, puntiamo dritto al cuore del libro: in che modo alcuni comportamenti in montagna tutelano non solo la nostra integrità personale, ma anche l’ambiente?
La sostenibilità è la parte meno scontata del libro. Lavorando per un’area protetta, mi sono accorta che io stessa, come migliaia di appassionati, sempre più numerosi in ogni stagione ormai, frequentano la montagna senza rendersi conto, pur in perfetta buona fede, che alcuni loro comportamenti possono fare la differenza nel bene e nel male nei confronti di quell’ambiente che tanto amiamo. Si tratta di situazioni frequenti, comuni, che possono capitare in qualsiasi uscita, e che di per sé non sono rischiose per noi, ma possono invece fare tutta la differenza del mondo, anche quella tra la vita e la morte, per piante, per animali o per habitat da cui dipendono queste specie vegetali e animali.
Quanto influisce sul tuo punto di vista il lavoro che fai per il parco?
So bene che i regolamenti dei parchi possono sembrare arbitrari: perché non devo fare questo o quello? Perché per esempio non posso andare dappertutto con il mio cane, anche se è il più docile di tutti? Nel cercare la risposta a queste regole che sembrano campate per aria si scopre un mondo. Ci sono tante solide ragioni che davvero non immaginiamo lì per lì: qualcuno molto pazientemente l’ha spiegato a me e io ho provato a raccontarlo, perché sono convinta che la stragrande maggioranza delle persone, se sapesse di poter fare la differenza, sceglierebbe di farla e di comportarsi in modo più sostenibile.
Hai dedicato il libro a un guardiaparco e al Soccorso Alpino, figure con cui hai a che fare di frequente, sei tu stessa una guida naturalistica, ci fai degli esempi concreti per capire come si può fare la differenza?
Per esempio, arrivano tantissime telefonate ai parchi di tutta Italia sul ritrovamento di animali feriti o in pericolo (forse), per capire se bisogna o meno intervenire, quando e come farlo. Siamo tutti portati, per fortuna, verso una forma di empatia con il vivente, qualche volta, però, intervenire significa interferire con cicli che sono perfettamente naturali. Altro esempio: non si deve accendere il fuoco a terra perché, a parte il pericolo di incendio, se non siamo scaltri, mentre noi siamo contenti e suoniamo la chitarra facendo merenda, la vita che pullula lì sotto viene sacrificata. È una parte di bellezza che viene meno per chi verrà dopo. Ancora: la scorciatoia. Tutti noi, me compresa, ci annoiamo coi tornanti, allora ci viene voglia di tagliare e non ci rendiamo conto che, passa oggi e passa domani, essendo la montagna in pendenza, alla prima volta che piove l’acqua si incanalerà nella nostra striscia alternativa di sentiero non ufficiale, portandosi via una bella fetta di versante, danneggiando il sentiero che già c’è e tutta la vegetazione e gli animaletti che se ne stanno in pace lì in mezzo. Questi sono esempi banali di cose che una volta nella vita tutti quanti in perfetta buona fede abbiamo fatto, come l’abbandono del fazzolettino di carta, perché tanto è di carta: in realtà ci mette almeno sei mesi a biodegradarsi, anche di più visto che piove sempre meno, e per altrettanto tempo rilascia sostanze chimiche, oltre al fatto che in quei mesi offenderà la nostra vista e tutta la poesia del sentiero o del prato, che sta di fatto inquinando. Ovviamente è il numero che fa la differenza. Il fazzolettino rimanda ad argomenti tabù di cui si parla poco, per evidenti ragioni, ma che invece sarebbe importante affrontare, perché ci sono comportamenti più sostenibili di altri anche in questo campo.
Sul lato sicurezza, ti sei mai ritrovata in alcune delle situazioni che descrivi?
Assolutamente, sì! Sono una grande peccatrice… È dal basso di nessun pulpito che mi sento di affrontare questi temi, perché sono di quelle persone fortunate che hanno sbagliato, ma non abbastanza da non poter rimediare. Per esempio, una situazione che non dimenticherò mai più è stata quella di una errata valutazione del meteo: mi sono ritrovata in cresta dentro a un temporale coi fiocchi, di quelli che senti vibrare il suolo e ti si rizzano i capelli in testa e i peli sulle braccia, anche se i fulmini non impattavano così vicino a noi. Non sapevo cosa fare, so solo che non vorrei viverla mai più. Sono situazioni in cui la lucidità non è di casa, per questo avere qualche dritta prima ti consente di evitare di peggiorare le cose. Andrea Gobetti, famoso speleologo, dice che per farti davvero male devi combinare due pasticci: il primo è metterti in una situazione in cui sei un po’ malpreso, il secondo è prendere la decisione sbagliata. Tutte le situazioni che descrivo nel libro io o i miei compagni di sentiero, o anche i clienti che ho portato a spasso come accompagnatrice le abbiamo condivise: io mi sono persa, ho scaricato la lampada frontale, ne ho combinate di tutti i colori... Per quello anche le soluzioni sono molteplici e sono molte di più di quelle che ho inserito: alcune sono soluzioni geniali tirate fuori dai ragazzini delle scuole su cui abbiamo testato il gioco.
Perché non avevate prodotto una normale brochure informativa?
Il gioco di carte, con le illustrazioni di Agnese Blasetti, è semplicemente uno strumento per non prendersi troppo sul serio quando si parla di sicurezza e sostenibilità, perché tendiamo tutti a essere un pochino permalosi, non ci piace essere presi in castagna. Invece, se si affrontano questi argomenti come un gioco, ci si mette “in gioco” più serenamente.
Tutti i testi sono passati al vaglio scrupoloso di esperti, dal Soccorso Alpino agli erpetologi, ma più che dare risposte, invitano prima di tutto a evitare il fai da te, che spesso è il pericolo più grande.
Di situazioni che mettono in pericolo la nostra incolumità ne sono descritte diverse e non si entra nei dettagli proprio perché sono frangenti in cui di solito la cosa giusta da fare è attivare il prima possibile il soccorso. Ma bisogna farlo nel modo giusto e quindi essere consapevoli che il telefono può anche non prendere. Adesso esistono molti strumenti quando non c’è una copertura telefonica, rispetto anche solo a 10-15 anni fa. La tecnologia ha fatto passi da gigante e quindi nel bene e nel male anche la nostra reperibilità. È bello essere disconnessi, meno quando poi uno si fa male. C’è anche un’esortazione a prendersi cura l’uno dell’altra quando si è in montagna, se si vede qualcuno in difficoltà o che può andare incontro a qualche rischio, senza fare i pedanti noiosi, né girarsi dall’altra parte.
Chi pensi che leggerà questo libro?
L’esigenza di affrontare questi temi è nata subito dopo il covid, quando il pubblico degli appassionati di montagna si è ampliato all’improvviso: non potendo andare alle Barbados, gli italiani si sono accorti che c’era un mondo meraviglioso dietro casa e lo hanno iniziato a frequentare qualche volta con più entusiasmo che preparazione. Di fronte ai “merenderos” ci possono essere due reazioni: fare gli snob, oppure ricordarsi che anche noi lo siamo stati e abbiamo fatto le nostre scemenze. Trovo che sia nello spirito anche del sodalizio del CAI condividere quello che abbiamo imparato dai nostri errori. Si può evolvere, si può migliorare: non solo chi si è appassionato negli ultimi anni, ma anche noi che è tanto tempo che andiamo in montagna, eppure pensiamo ancora pochissimo all’impatto che abbiamo sull’ambiente che frequentiamo. Spesso, infatti, a meno che non studiamo scienze naturali o biologia, non siamo educati a non essere degli elefanti in una cristalleria quando ci muoviamo in ambiente naturale, ci sentiamo liberi di fare tutto quello che vogliamo e spesso non facciamo caso o non calcoliamo le conseguenze di alcuni gesti.
Tocchi il tasto dell’iperfrequentazione della montagna, che si collega da un lato al tema della sicurezza (più persone significa per forza anche più incidenti), dall’altro a quello del difficile equilibrio fra sostenibilità ambientale e antropica: come la vedi tu?
La base si è in effetti ampliata, ma va detto anche che noi adesso in montagna facciamo molte più cose rispetto a una volta, quando i frequentatori della montagna erano sostanzialmente escursionisti, alpinisti o scialpinisti. Adesso in montagna ci andiamo per correre, per far volare il drone, ci buttiamo con il parapendio o con la tuta alare, usiamo la bicicletta (anche a me piace molto!) e perdipiù ci andiamo in tutte le stagioni, con la riduzione del manto nevoso. L’inverno, però, che è una stagione difficile, rappresenta anche un momento di riposo, di minimo disturbo antropico per moltissime specie che nidificano o svolgono un sacco di attività molto importanti per il loro ciclo vitale, e ora invece si trovano questi sciamannati che scalano, sbraitano, corrono… Tutti dovremmo invece tenere conto del fatto che siamo tanti, siamo dappertutto e in tutte le stagioni, e anche il semplice camminare con le mani in tasca ha un impatto per gli animali, perché puzziamo di deodorante, siamo rumorosi, un’aquila ci percepisce da un chilometro di distanza, quando noi ancora non sappiamo nemmeno che ce n’è una nei paraggi…
E allora meglio stare a casa?
No, certo, questo vuol dire che dobbiamo essere consapevoli del nostro impatto come massa e ridimensionare un po’ le nostre attività, altrimenti i nostri figli avranno un posto molto più brutto dove andare e alcune specie, già stressate dalla crisi climatica, non ce la faranno. Quando scalavo ricordo bene il desiderio di fare a tutti i costi “quella linea” su “roccia fantastica”. Ma se lì nidifica il falco pellegrino? Lui non ha alternative, noi sì. Possiamo scegliere un’altra via e anzi avvisare tutti della presenza del nido. Possiamo rinunciare a una sciata in farina se serve a tutelare i galli forcelli. Se siamo così appassionati di montagna, dimostriamolo facendo un passo indietro, facendo davvero parte di quell’ambiente che diciamo di amare. Solo essendo consapevoli possiamo fare la differenza. Siamo adulti, prendiamoci ciascuno la propria responsabilità: il mio libro è pieno di speranza e di fiducia nell’umanità. Possiamo essere meglio di così ed esserne anche felici.