Italia 61: l’impresa dei quattro rocciatori sul Piz Ciavazes

Nel settembre 1961 Bepi de Francesch e i suoi compagni aprirono una via audace sulla prua gialla del Piz Ciavazes. Una salita estrema, tra soffitti strapiombanti e bivacchi sospesi, che rimane una pietra miliare dell’alpinismo dolomitico.

L’11 settembre 1961 quattro rocciatori si accomodano in due tende ai piedi della prua gialla del Piz Ciavazes, la palese provocazione alla forza di gravità che si protende a pochi passi dalla battutissima strada del Passo Sella. In Val di Fassa si dice che “se fosse capovolta non supererebbe il quarto e il quinto grado, e con delle ottime cenge in mezzo”; peccato che si tratti di una geologia rovesciata, con i soffitti al posto dei gradini.

Bepi de Francesch ha deciso che è venuto il momento di “attaccare quel diavolo di spigolo” con i fidati Quinto Romanin, Cesare Franceschetti ed Emiliano Vuerich, e la salita è quasi un’esibizione pubblica. Hanno viveri per alcuni giorni, centocinquanta chiodi normali, cento chiodi a pressione, alcuni cunei di legno per le fessure larghe del calcare, quindici staffe, varie corde da arrampicata e un lungo cordino da recupero.

 

La salita

La mattina del 12 settembre de Francesch e Romanin scalano il primo tratto verticale e chiodano un diedro strapiombante, poi arriva il primo soffitto che il capocordata affronta direttamente: “Tra me e la roccia si ingaggia una lotta disperata: io dico che l’amo, ma lei non ci crede. ‘Con quei ferri maledetti tu non mi dai dei baci e non mi fai delle carezze, ma solo ferite’. Le dico che è un modo anche quello di amare e che deve avere pazienza…”. Avanza l’imbrunire. Con un’unica calata di cento metri, di cui ottantacinque nel vuoto, i due tornano alle tende. “Nel punto massimo siamo lontani venti metri dalla roccia. Emozionante? No, terribile!”

Il secondo giorno è dedicato al soffitto che esce di cinque metri, perfettamente orizzontale. È un lavoro di forza, precisione e pazienza: servono circa trecento colpi di martello per forare la roccia e farci entrare il chiodo a pressione; quindici colpi e un bel respiro, altri quindici e una scrollata. Il sangue va alla testa, alle mani, dappertutto. In tre ore vengono a capo del soffitto, con una media – ottimistica – di un metro e mezzo l’ora. La sera del 13 settembre i quattro poliziotti delle Fiamme Oro bivaccano appesi ai chiodi e la mattina del 14 raggiungono la Cengia dei Camosci a metà parete. Ormai lo spigolo è scalato, ma l’etica impone di andare in vetta al Piz Ciavazes. Ci arrivano un’ora dopo mezzogiorno, sotto il sole caldo e il cielo azzurro di settembre. In cima estraggono la bandiera tricolore e la sventolano sulla valle. Sono passati cent’anni esatti dall’unità d’Italia, quindi battezzano la nuova via “Italia 61”.