Jean-Antoine Carrel, il bersagliere del Cervino

Il 26 agosto 1890 moriva sul suo amato Cervino Jean-Antoine Carrel. La sua vita fu segnata dalla sfida alla Gran Becca, che lo consacrò e alla fine lo accolse per sempre.

Il 26 agosto 1890, Jean-Antoine Carrel, noto come il "Bersagliere del Cervino", moriva sul versante italiano della montagna che aveva consacrato la sua vita: la Gran Becca.

Nato il 16 gennaio 1829 a Crétaz, frazione di Valtournenche, Carrel visse in un’epoca di grandi passioni e grandi sfide: tra le guerre di indipendenza italiane, dove si guadagnò il grado di sergente nei Bersaglieri, e le vette più difficili delle Alpi. Da allora il soprannome “bersagliere” lo accompagnerà per tutta la vita.

 

Il Cervino

Fin da giovane, Carrel mostrò una conoscenza profonda dei monti: pastore, cacciatore, contadino e artigiano, ma soprattutto guida alpina. La sua ambizione era chiara: raggiungere la vetta del Cervino dal versante italiano, un’impresa che diventò il filo conduttore della sua esistenza. Negli anni, provò più volte ad avvicinarsi alla cima, spesso in compagnia dell’abate Gorret o del fratello Jean-Jacques.

Nel 1861 conobbe il giovane alpinista inglese Edward Whymper che lo volle come guida e compagno di salita. In breve tempo tra i due, così diversi per carattere, nacque una sottile competizione destinata a inasprirsi sempre più fin quando, nel luglio del 1865, mentre Whymper raggiungeva la vetta dalla cresta svizzera, Carrel si trovava in quota per guidare la prima salita italiana, incaricato dal neonato Club Alpino Italiano e da Quintino Sella. Nonostante lo sconforto iniziale alla vista degli inglesi sulla vetta, Carrel, convinto dall’abate Gorret e dall’ingegnere Giordano, riuscì due giorni dopo a portare a termine la storica prima ascensione dalla parete sud-ovest, affrontando difficoltà tecniche superiori a quelle della via svizzera.

La competizione tra i due non era questione personale, ma di conquista (come si diceva al tempo) della montagna, dell’ultima montagna simbolo delle Alpi. Dopo la salita del Cervino fu infatti lo stesso Whymper a coinvolgere Carrel in una spedizione sulle Ande. Spedizione di successo che portò i due sulla vetta del Chimborazo (6130 m), dove realizzarono la prima ascensione, e su quella del Cotopaxi (5943 m), dove segnarono la quinta ascensione. Oltre a queste due salirono diverse altre cime comprese tra i 4000 e i 5000 metri. In questo viaggio i due alpinisti sperimentarono entrambi le problematiche legate alla quota e al mal di montagna e svelarono anche il carattere indomito di Carrel. Si racconta infatti che il valdostano affrontasse il mal di montagna senza ricorrere a farmaci, affidandosi solo a rimedi naturali, come il vin brûlé.

 

Il mestiere di guida

Tornato in Valle d’Aosta, Carrel continuò a guidare gli alpinisti in vetta il Cervino. Le statistiche dicono che abbia raggiunto la vetta ben cinquantuno volte. Un numero che oggi può sembrare all’ordine del giorno per una guida, ma che nelle seconda metà dell’Ottocento era inusuale. 

La sua vita era su quella montagna che a lungo l’aveva “tormentato”, che a luglio gli aveva fatto sentire il sapore della “conquista” e che alla fine era diventata parte integrante del suo essere. La stessa montagna su cui alla fine avrebbe perso la vita, il 26 agosto 1890.

Fu la consapevolezza e l’integrità dell’essere guida a portarselo via. Durante una tempesta, riuscì a mettere in salvo il suo cliente, il giovane musicista torinese Leone Sinigaglia, e il portatore Charles Gorret, cedendo infine allo sfinimento poco sotto il Colle del Leone. Oggi, una croce – la Croix Carrel – segna il punto in cui lasciò questa terra, mentre il Rifugio Jean-Antoine Carrel, a 3830 metri, custodisce il suo nome e la sua memoria sulla vetta della sua vita.