Junko Tabei © Wikimedia CommonsCinquant’anni fa, il 16 maggio 1975, una donna giapponese raggiungeva la cima più alta della Terra, rompendo un confine che sembrava invalicabile. Il suo nome era Junko Tabei, aveva 35 anni, e diventava la prima donna nella storia a scalare l’Everest. Ma quella vetta, per lei, non fu solo un traguardo. Fu l’inizio di un’esistenza ancora più alta, dedicata all’alpinismo, all’emancipazione femminile e alla difesa dell’ambiente.
Nata nel 1939 a Miharu, un piccolo villaggio della prefettura di Fukushima, Junko cresce in un Giappone ancora segnato dalle ferite della Seconda guerra mondiale. È la quinta di sette sorelle, con due fratelli minori, in una famiglia modesta. La sua salute è cagionevole, e la società la vorrebbe tranquilla, composta, invisibile. Ma a dieci anni, durante una gita scolastica sul monte Nasu, qualcosa si accende. Quel primo incontro con le montagne le cambierà la vita. Nonostante l’opposizione dei genitori, che considerano l’alpinismo un passatempo troppo costoso e inadatto a una ragazza, Junko non rinuncia alla sua passione. Studia letteratura inglese a Tokyo, si unisce al club universitario di alpinismo e lavora per mantenersi, insegnando inglese e scrivendo per riviste scientifiche. Mentre la società giapponese continua a relegare le donne ai margini, lei scala montagne. In silenzio, ostinata, determinata.
Il Ladies Climbing Club
Negli anni Sessanta, Junko Tabei inizia a farsi un nome nell’ambiente alpinistico, ma i club sono dominati dagli uomini e le donne sono tollerate, ma mai realmente accolte. Così, nel 1969, decide di fondare un proprio spazio: nasce il Ladies Climbing Club, il primo gruppo alpinistico giapponese interamente femminile. Il motto è una dichiarazione di intenti: “Andiamo a fare una spedizione all’estero, da sole”.
Con le sue compagne scala le principali vette del Giappone e poi dell’Europa. Nel 1970 arriva la prima grande impresa: l’ascesa dell’Annapurna III, 7555 metri. È la prima donna a metterci piede. Il suo sguardo però è già rivolto più in alto: agli Ottomila.
Dopo anni di preparazione, Junko Tabi organizza una spedizione tutta al femminile all’Everest. Il progetto trova mille ostacoli: i permessi dal governo nepalese, la scarsità di sponsor (molti rifiutano di sostenere un gruppo di donne), la diffidenza generale. Alla fine, la televisione giapponese e il giornale Yomiuri Shimbun decidono di scommettere su di lei.
Nel marzo del 1975, quindici donne partono per il Nepal. Sono insegnanti, madri, impiegate. A guidare la spedizione c’è Eiko Hisano. La spedizione si rivela fin da subito difficile. A quota 6300 metri, una valanga devasta il campo, seppellendo le tende e disperdendo gran parte dell’equipaggiamento. Nessuna vittima, ma Junko Tabei rimane ferita e perde i sensi per diversi minuti. Nonostante l’incidente, lo shock e le condizioni difficili, non si arrende.
Dodici giorni dopo, il 16 maggio 1975, affiancata dalla guida sherpa Ang Tsering, raggiunge la vetta. È la prima donna al mondo a toccare la cima dell’Everest. Il suo successo risuona in tutto il Giappone e ben oltre i confini nazionali.
Oltre l’Everest
L'Everest è stato un punto, ma non di certo quello di arrivo, nella vita di Junko Tabei. Nel 1974 aveva già raggiunto il Manaslu, nel 1981 diventa la prima donna sullo Shisha Pangma, nel 1996 arriva in cima al Cho Oyu. Nel 1992 entra nella storia per la seconda volta: è la prima donna al mondo a completare le Seven Summits, scalando le montagne più alte di ogni continente.
Negli anni Duemila cambia cordata e junko Tabei si dedica allo studio del degrado ambientale sull’Everest, causato dall’accumulo di rifiuti delle spedizioni. Si iscrive all’università di Kyushu per approfondire il tema, e diventa direttrice dell’Himalayan Trust of Japan, lavorando a progetti di pulizia e costruzione di inceneritori.
La sua battaglia ecologista è poco visibile, lontana dai riflettori, ma di enorme impatto. Partecipa a spedizioni di bonifica, sensibilizza studenti, scrive libri. Ogni estate, anche da malata, guida gruppi di liceali sul monte Fuji, simbolo della sua terra e della sua rinascita, soprattutto dopo il disastro nucleare del 2011 che colpì proprio Fukushima.
Junko Tabei si è spenta il 20 ottobre 2016, a 77 anni, a causa di un tumore allo stomaco. Ma la sua eredità è ovunque: nelle ragazze che oggi mettono piede in alta quota, nei club di alpinismo femminili che non fanno più notizia, nei sentieri che oggi sono un po’ più liberi da rifiuti e da pregiudizi. Nel 2019, Google le ha dedicato un doodle per quello che sarebbe stato il suo ottantesimo compleanno. Ma forse il vero tributo è oggi, 16 maggio 2025, a cinquant’anni da quella salita impossibile. Nessun ostacolo, nemmeno il più alto del mondo, può fermare chi ha deciso di salire.