Kangchenjunga: il Sikkim chiede il divieto totale di scalata per motivi religiosi

Il governo del Sikkim sollecita l’India a vietare l’accesso al Kangchenjunga, terza vetta più alta al mondo, per rispetto delle credenze locali. Il provvedimento segue l’aumento delle spedizioni e si inserisce nel solco della tutela delle montagne sacre dell’Himalaya.
Il massiccio del Kangchenjunga © Wikimedia Commons

Il governo dello Stato indiano del Sikkim ha recentemente richiesto al Ministero degli Interni dell'India di estendere il divieto di scalata del Kangchenjunga a tutte le sue vie di accesso, comprese quelle situate in Nepal. La richiesta si basa sul rispetto delle credenze religiose locali, che considerano la montagna sacra.

Il Kangchenjunga, con i suoi 8586 metri, è la terza vetta più alta del mondo e si trova al confine tra Nepal e Sikkim, India. Difficile da raggiungere ha sempre richiamato poche spedizioni alle sue pendici, anche se negli ultimi anni il numero dei frequentatori sta rapidamente aumentando. Probabilmente nasce proprio da questa nuova popolarità la richiersta del governo del Sikkim. La montagna infatti è venerata fin da tempi antichissimi dalle comunità locali, che credono sia la dimora della divinità protettrice Dzoe-Nga, conosciuta anche come Pho-lha. Basti dire che nel 1955 i primi scalatori britannici, Joe Brown e George Band, si fermarono a pochi metri dalla vetta per rispettare queste credenze. Un rispetto che negli anni si è perso in favore della pura ricerca di performance.

La lettera inviata al Ministro degli Interni indiano, Amit Shah, dal Chief Minister del Sikkim, Prem Singh Tamang, esprime infatti una "seria preoccupazione" per le scalate sulla montagna sacra. Tamang ha citato il "Places of Worship (Special Provisions) Act" del 1991 e una notifica del governo del Sikkim del 2001 che vieta le spedizioni sulle vette sacre dello stato. La lettera sarebbe scaturita in seguito a una serie di proteste, da parte delle comunità locali, a proposito della salita realizzata dall'Istituto Nazionale di Alpinismo e Sport Avventurosi (NIMAS) dell'Arunachal Pradesh, i cui membri hanno raggiunto la vetta del Kangchenjunga il 18 maggio 2025, per la via normale nepalese. Un paese, il Nepal, che attualmente non impone restrizioni sul numero di scalatori sul Kangchenjunga. Nella stagione 2025, sono stati concessi 78 permessi a scalatori stranieri, e circa 30 persone hanno raggiunto la vetta. Non parliamo dei numeri dell'Everest, ma comunque di un crescente interesse alpinistico, che sta iniziando a far storcere il naso ai locali.

 

Le montagne sacre dell'Himalaya

Quanto richiesto per il Kangchenjunga non è affatto nuovo in Himalaya. Sono infatti numerose le vette della catena a essere considerate sacre dalle popolazioni locali, con conseguenti divieti di accesso per motivi religiosi e culturali. Alcune di queste non sono mai state scalate e sono protette da leggi nazionali. Ne è un esempio il Gangkhar Puensum, al confine tra Bhutan e Cina. Alta 7570 metri è la montagna più alta al mondo mai scalata in quanto nel 1994, il Bhutan ha vietato le ascensioni sopra i 6000 metri per rispetto delle credenze spirituali, estendendo il divieto a tutte le attività alpinistiche nel 2003. In Nepal abbiamo invece il Machapuchare, anche conosciuto come "Fishtail Mountain" per la sua doppia cima. Con i suoi 6993 metri è ritenuto la dimora del dio Shiva dalle comunità Gurung e Magar. Per questo dal 1962 il governo nepalese ha vietato le ascensioni. L'unico tentativo documentato risale al 1957, quando una spedizione britannica si fermò poco prima della vetta per rispetto delle credenze locali. in Tibet si trova invece il Monte Kailash, ritenuto la dimora di divinità come Shiva e Demchok. Ragione per cui il governo cinese ha vietato le ascensioni. Nonostante alcune richieste, nessuna spedizione ha mai raggiunto la vetta.
Ancora in Cina si trova il Kawagarbo. Montagna di 6740 metri considerata sacra dai tibetani. Dopo una tragica spedizione nel 1991, in cui morirono 17 alpinisti, le autorità locali hanno vietato tutte le ascensioni per rispettare le credenze spirituali e garantire la sicurezza. Non sarebbe quindi strano se, a un certo punto, il dibattito sulla chiusura del Kangchenjunga dovesse prendere piede