Krzyzowski ne sale altri due: Lhotse ed Everest in 48 ore

L'alpinista polacco è riuscito nella doppia impresa con un singolo push, senza ossigeno e senza l'ausilio di sherpa. «Il campo base dell'Everest è una città sul ghiacciaio»

Il polacco Piotr Krzyzowski ha scalato in un singolo push Lhotse ed Everest, riuscendo così a completare la successione dei sette Ottomila pachistani: K2, Broad Peak, Nanga Parbat, G1, G2 infatti erano già stati saliti dall'alpinista 45enne in precedenza. Krzyzowski non è nuovo a exploit in successione: nel 2022 aveva salito K2 e Broad Peak in soli nove giorni. Questa volta però Piotr si è superato, riuscendo a scalare la vetta più alta del pianeta solo 48 ore dopo avere raggiunto la cima del Lhotse. L'impresa è stata possibile in quanto Krzyzowski è sceso solamente poco sotto il campo 4, a una quota di 7750 metri, prima di risalire fino all'iconica quota di 8848 metri.

 

Everest e Lhotse dal Kala Patthar © Federico Putignano

Krzyzowski è salito da solo, con la sua tenda e gli approvvigionamenti che si è portato da solo, senza ausilio di portatori, ovviamente senza ossigeno supplementare. Nei giorni scorsi ha anche aiutato a soccorrere uno scalatore macedone sulla via per il campo 4. 

 

L'alpinista polacco aveva postato una comunicazione sul suo canale FB nei giorni precedenti la salita, rimarcando le bizzarrie del campo base dell'Everest e allo stesso tempo rivendicando la propria scelta di procedere in autonomia. Un post semplice e bello allo stesso tempo, che vale la pena riportare. «Sapevo di andare proprio nel mezzo della zona più commerciale dell'alta montagna. Molti dicevano che è l'apice del commercio, ma io volevo solo scalare Lhotse, e allora, perché avrei dovuto rinunciare? So che in alta montagna c'è sempre meno spazio per chi come me, sale senza l'appoggio di sherpa, senza l'uso di ossigeno dalle bombole e senza l'enorme supporto di agenzie e scalatori. Sono andato al campo base sotto l'Everest da solo, quindi in qualche modo non sono rimasto colpito dalle dimensioni commerciali di tali spedizioni. Ma quando sono arrivato in quel posto e ho visto una città sul ghiacciaio con strade di tende, enormi casini a forma di cupola, caffetterie dove i baristi servono caffè macinato da macchine a pressione professionali, con tende vip private, circondate da verde erba artificiale, sapevo che mi sarei sentito a disagio qui. A proposito, la prima sera a cena, quando ognuno dei partecipanti ha incontrato il "suo Sherpa" ho dovuto rispondere alla domanda su dove fosse il mio. E quando ho risposto che stavo scalando in solitaria, ho visto negli occhi dei miei interlocutori, sorpresa, incomprensione, follia. “come solitario?”, dopotutto è l'Everest. Ecco perché volevo andarmene da questo posto il prima possibile, fare i bagagli e andare verso la parete, nella mia solitudine, per arrampicare in solitaria. Perché lì posso sentirmi libero, come sempre in alta montagna».