L'Enrosadira
Enrosadira al tramonto, dal rifugio Bolzano
Enrosadira sulla Marmolada al tramonto
L'Enrosadira sul CatinaccioLe montagne, da sempre, sono custodi di memorie, racconti e immagini scolpite nel tempo. I loro profili marcano l’orizzonte e, al contempo, la memoria collettiva di chi le abita o le attraversa. Se è vero che ogni cima, ogni bosco e ogni lago ha una storia, allora le Dolomiti ne custodiscono una che è insieme scienza, tradizione e meraviglia.
Tra le peculiarità che rendono queste montagne così uniche rispetto alle altre – oltre che per altitudine, conformazione e morfologia, l’enrosadira occupa un posto speciale. Si tratta di un fenomeno ottico ben preciso, ben visibile nel periodo estivo, che avviene in due momenti della giornata, all’alba e al tramonto, quando la luce solare colpisce le pareti di dolomia, tingendole di rosa, arancio, talvolta porpora. Il termine deriva dal ladino e significa letteralmente “diventare di colore rosa”, una definizione semplice per uno spettacolo decisamente suggestivo che solo la natura è capace di offrire.
La spiegazione scientifica parla di rifrazione e diffusione della luce, che interagisce con la composizione chimica della dolomia ma chi osserva questo fenomeno – particolarmente evidente e d’effetto sul gruppo del Catinaccio – non può fare a meno di sentirsi dentro qualcosa che va oltre la spiegazione fisica, è qui, tra le pieghe della roccia, che prende forma non solo un fenomeno ma anche un racconto: la leggenda del Re Laurino.
La leggenda del Re Laurino e il legame con l’identità dolomitica
Secondo la tradizione ladina, sul Catinaccio – chiamato appunto Rosengarten, “giardino di rose” – un tempo regnava Re Laurino, sovrano di un popolo di nani, abili artigiani e minatori. Laurino aveva fatto crescere, davanti al suo castello, un roseto magico, che fioriva per tutto l’anno; era un giardino splendido, difeso da un filo d’oro, visibile solo a chi conosceva i segreti del regno. Un giorno, Laurino s’invaghì della principessa Similde e – servendosi del suo mantello dell’invisibilità – la rapì.
La condusse con sé nel suo regno sotterraneo, scatenando l’ira del re Teodorico e dei suoi cavalieri che inevitabilmente puntarono all’assalto al giardino che fu purtroppo calpestato e distrutto e mentre Similde veniva liberata, il re Laurino, sconfitto, venne catturato.
Umiliato, pronunciò una maledizione: “Né di giorno né di notte, nessuno potrà più vedere le mie rose”, dimenticandosi però, di due momenti del giorno il tramonto e l’alba.
Così, racconta la leggenda, ogni alba e ogni tramonto le rocce del Catinaccio si tingono ancora dei colori di quel roseto perduto che è l’enrosadira, un ricordo di bellezza rimasta però pietrificata, che si rinnova ogni giorno e che unisce natura e identità accorciando la distanza tra realtà e fantasia.
Al di là del mito, l’enrosadira rappresenta un tratto distintivo del paesaggio dolomitico divenendo parte integrante dell’identità culturale delle comunità dolomitiche ladine. È un momento in cui la montagna sembra rivelare la propria anima, restituendo allo sguardo umano non solo la sua imponenza, ma anche la sua storia.
In un momento in cui la montagna è percepita come spazio di consumo, i fenomeni come questo invitano a un passo diverso come quello della contemplazione, ad un rapporto più viscerale con la montagna. L’enrosadira non si può affrettare, non si può riprodurre artificialmente, la si può solo attendere e guardare; questo ristabilisce un legame antico tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda.
Raccontare l’enrosadira non significa solo parlare di luce e rocce, ma anche di memoria, ascolto e attesa, forse, proprio il motivo per cui si va in montagna.
C’è un modo di stare al mondo che solo la montagna insegna, un modo fatto di silenzi, di attesa, di verità sottili che fanno pensare e riflettere. Come scriveva Dino Buzzati, che di montagne e Dolomiti se ne intendeva: “La montagna si osserva, ma anche si ascolta. A chi ha pazienza, racconta tutto.” La montagna ha una sua saggezza, una sua storia da condividere, ma queste si rivelano solo a chi sa avvicinarsi con rispetto e pazienza, senza pretendere risposte immediate. Le montagne non sono solo cime da scalare ma sono anche narrazione e il fenomeno dell’enrosadira ne è, forse, una delle pagine più riuscite.