L’inaccessibile: Carlo VIII e la conquista del Mont Aiguille, la sua America

Nel 1492, mentre Colombo salpa verso il Nuovo Mondo, il re di Francia affida a Antoine de Ville l’assalto al “Monte Inaccessibile”. Un’impresa tra fede, ingegno e vertigini che segna l’alba dell’alpinismo moderno.
Il Mont Aiguille © Wikimedia Commons

Una mattina, mentre cavalca con la corte sulla strada per Notre-Dame d’Embrun, re Carlo VIII guarda lo strano fungo di calcare del Monte Aiguille (il “Monte inaccessibile”) e vede la sua America. Preso da smania di conquista, incarica della scalata il nobile Antoine de Ville, esperto di assalti a forti e castelli, che esamina la roccia e recluta per l’assalto un manipolo “d’uomini d’arme e di chiesa”, e soprattutto gente di mestiere: tagliatori di pietre, carpentieri e addetti alle scale. Fanno parte del drappello il predicatore apostolico Sébastien de Carrecte, un certo Reynaudescalleur-scalatore del re, Cathelin Servet, maestro tagliatore di pietra di Santa Croce di Montélimar, Pierre Arnaud, maestro carpentiere di Montélimar, l’aiutante Guillaume Sauvage, Jean Lobret di Die e François de Bosco, cappellano. Girando intorno alla montagna individuano il versante più abbordabile, la parete nord-ovest, che comunque presenta tratti verticali da addomesticare con il ferro e le scale. In termini alpinistici l’itinerario presenterebbe passaggi di terzo e quarto grado, ma gli uomini del capitano de Ville non sono alpinisti, bensì “attrezzisti” e funamboli. Il sole raggiunge la parete solo nel pomeriggio, ma l’ombra aiuta gli sforzi del manipolo perché alla fine di giugno le giornate sono molto lunghe, il Vercors è un massiccio molto caldo e il Mont Aiguille supera appena i 2000 metri d’altezza. Niente neve, solo roccia e vertigine.

Non sappiamo quasi nulla delle tecniche usate per la scalata, ma intuiamo che ricordò la presa di un maniero: avvicinamento con gli uomini e le attrezzature, presa di possesso del terreno, campo base, campo avanzato, missioni esplorative, trasporto di pertiche e scale, posizionamento delle impalcature, lancio di ganci e ancorette, posizionamento delle corde, e poi fittoni, carrucole, nodi, sudore e olio di gomito. I conquistatori giunsero in vetta il 26 giugno 1492 e trovarono un prato pieno di pace “che richiederebbe circa quaranta uomini per la falciatura”, commentarono.

Poiché gli uomini non avevano alcuna intenzione di ripetere l’impresa, e siccome serviva l’autenticazione del parlamento del Delfinato, il manipolo occupò la cima del monte aspettando un messo, una missiva, un segno di attenzione. De Ville scrisse a Grenoble: “Signor Presidente, mi raccomando a voi con tutto il cuore. Quando lasciai il re, egli m’incaricò di tentare la scalata della montagna che si diceva inaccessibile. Con ingegnosi apparati feci trovare la maniera di salirvi, a Dio piacendo. Ora mi trovo quassù da tre giorni e più di dieci altri uomini sono con me: tanto gente di chiesa, tanto gente per bene, compreso uno scalatore del re. Non me ne andrò fin quando non avrò ricevuto la vostra risposta, affinché, se lo vorrete, possiate inviare qualcuno a vedere che siamo riusciti”. Attesero a lungo, ma non era un brutto posto.