Al lavoro nell'orto in Valle Varaita © Facebook CrescoNel cuore della Valle Varaita, in Piemonte, una piccola realtà agricola sta sperimentando un modo alternativo di coltivare la terra e costruire relazioni sociali. Si chiama Cresco, ed è una CSA, una “Comunità di Supporto all’Agricoltura”, fondata con l’obiettivo di rimettere al centro il legame tra chi produce e chi consuma il cibo, promuovendo al contempo un'economia locale più solidale.
In un’epoca segnata dalla crescente distanza tra chi produce e chi consuma, progetti agricoli come questo che sta prendendo piede in Valle Varaita assumono un valore che va ben oltre il piano economico. Si tratta di esperienze che mettono al centro il territorio, le relazioni umane e la sostenibilità, offrendo una risposta concreta alla crisi delle campagne e alla ricerca di nuovi modelli di convivenza. Iniziative che contribuiscono non solo alla rigenerazione dell’agricoltura locale, ma anche alla ricostruzione di un tessuto sociale spesso impoverito. Creano legami, riducono l’isolamento e riaffermano il valore del cibo come bene comune. In particolare, le Comunità di Supporto all’Agricoltura rappresentano un modello innovativo che combina mutualismo, responsabilità condivisa e sostegno diretto ai produttori.
Cos’è una CSA: Comunità di Supporto all’Agricoltura
Una CSA è un patto solidale tra un gruppo di cittadini e uno o più agricoltori, che si impegnano a condividere la produzione, i rischi e i benefici dell’attività agricola. I membri della CSA contribuiscono con una quota fissa (annuale o stagionale) a coprire i costi di produzione. In cambio, ricevono regolarmente una parte del raccolto, in genere sotto forma di cassette settimanali di prodotti freschi e locali. Il principio guida di questo modello è la co-responsabilità: i consumatori non sono semplici clienti, ma parte attiva del processo produttivo. Contribuiscono alla programmazione, partecipano alle attività in campo, aiutano nella distribuzione e, in molti casi, prendono parte anche alle decisioni strategiche dell’azienda.
Nato negli anni Sessanta in Giappone e sviluppatosi in seguito in Europa e Nord America, il modello CSA ha trovato applicazione in diverse realtà italiane, spesso nelle aree rurali marginali o di montagna, dove l'agricoltura tradizionale fatica a sopravvivere. Qui, la CSA diventa anche strumento di presidio del territorio, custode della biodiversità e promozione di uno stile di vita più lento, consapevole e collettivo.
Raccolta in Valle Varaita © Facebook CrescoIl fenomeno in Valle Varaita
I primi a dare avvio a questa iniziativa in Valle Varaita sono stati Pietro Cigna e Lorenzo Barra, agricoltori e promotori di un'agricoltura partecipata, con la loro Cresco sono riusciti infatti a coinvolgere decine di famiglie che ogni anno sottoscrivono una quota per finanziare in anticipo la stagione agricola. In cambio, ricevono settimanalmente cassette di ortaggi freschi e biologici coltivati sul posto. Ma il progetto va ben oltre la semplice filiera corta.
“Non vendiamo verdura, condividiamo un raccolto”, si legge sul sito dell’associazione. Il senso della CSA è infatti quello di creare corresponsabilità: soci e agricoltori condividono non solo i frutti del lavoro, ma anche i rischi, come quelli legati al maltempo o a una stagione poco favorevole. Il tutto con trasparenza economica: ogni anno viene presentato pubblicamente un bilancio preventivo delle spese agricole, che viene suddiviso tra i soci in base al numero di quote sottoscritte. Ma non si tratta solo di un contributo economico. I membri della comunità possono partecipare attivamente alla vita dell’azienda, con giornate in campo, attività di logistica, comunicazione o supporto agli eventi. “Anche una mezza giornata al mese è un gesto che rafforza il progetto”, raccontano i promotori.
Il progetto si inserisce in un contesto più ampio di rigenerazione rurale e collaborazioni tra realtà locali. I due ideatori fanno inatti parte di una rete che include altre aziende agricole e artigianali della valle. Realtà diverse, ma unite dall’obiettivo di rivitalizzare il tessuto sociale ed economico della montagna, in un’ottica di autosufficienza e mutuo aiuto. “In montagna si sopravvive solo con la collaborazione” spiegano i fondatori. Uno studio etnografico pubblicato sul sito della CSA sottolinea infatti quanto l’elemento relazionale sia determinante per la tenuta di un progetto simile. Non si tratta solo di ortaggi o numeri di bilancio: a fare la differenza è la qualità del legame tra le persone, il senso di appartenenza a un progetto comune.
In un periodo storico segnato da crisi ambientali, instabilità economiche e solitudine sociale, esperienze come questa offrono uno spunto concreto su come ricostruire comunità resilienti e sistemi produttivi più equi. Un modello piccolo, ma che parla di una possibile agricoltura del futuro: più partecipata, solidale, radicata nel territorio.