L'infestazione del bostrico

Al centro il paese con le contrade, tutt’intorno, a perdita d’occhio, distese di abete rosso. Quando il vento scende tra le case, è sufficiente aprire una finestra per goderne il profumo. 

Da queste parti le abetaie spadroneggiano perché, nei piani di rimboschimento del primo dopoguerra, si decise di prediligere il peccio alle altre specie arboree, entrando - forse involontariamente - nel solco spesso malsicuro delle monocolture. Infatti, se le monoculare possono garantire guadagni rapidi e immediati, sono al contempo strutture più deboli, esposte e delicate: in caso di un inaspettato imprevisto l’intero sistema rischia di essere coinvolto.

Purtroppo l’imprevisto è arrivato: prima con l’ormai tristemente celebre tempesta Vaia; poi con un piccolo coleottero - il bostrico tipografo (Ips typographus) - che nella massiccia quantità di legname abbattuta dalla tempesta ha incontrato le condizioni ideali per diffondersi capillarmente, iniziando a infestare anche le piante sane fino a provocarne un repentino disseccamento.

Purtroppo non è più così raro, passeggiando tra i boschi, trovarsi improvvisamente circondati da abeti bruni, color ruggine. Una tonalità ferrosa, molto simile a quella del filo spinato steso da anni a guardia dei pascoli.

Il bostrico trova nel peccio le condizioni ideali per soddisfare i suoi fabbisogni riproduttivi. Scavando cunicoli sottocorticali, si accoppia, deposita le uova e offre alle neonate larve un ambiente sicuro dove svilupparsi. Tuttavia, l’articolato intreccio di gallerie interrompe il flusso della linfa, provocando un repentino disseccamento della pianta colonizzata. Per soddisfare le sue necessità, generalmente il bostrico sfrutta alberi deboli o malati, ma in situazioni di sovrabbondanza di legname schiantato può proliferare in maniera incontrollata, iniziando a infestare anche le piante sane.

È proprio quanto si è verificato in seguito a Vaia: la massiccia quantità di piante danneggiate - spesso non facili da rimuovere - ha permesso alle popolazioni di bostrico di passare da una presenza endemica a una presenza epidemica. 

Con un occhio rivolto al passato, però, non è la prima volta che le nostre montagne vengono invase dal bostrico. A ricordarcelo è stato uno dei maggiori esponenti letterari del secondo dopoguerra, Mario Rigoni Stern.

Mario Rigoni Stern - ©Adriano Tomba

Nel 1998, in occasione della cerimonia di consegna della laurea ad honoris causa in Scienze naturali e ambientali assegnatagli dall’Università di Padova, durante il suo intervento ha sottolineato come, alla fine della Grande Guerra, solo il 15% dei boschi dell'Altipiano dei Sette Comuni si era integralmente salvato dalla furia bellica.

Su quanto era rimasto nel 1921, l'infestazione del bostrico colpì due terzi della superficie boschiva e si dovette procedere a radicale bonifica, raccogliendo e bruciando alberi divelti o abbattuti, e al taglio di circa 300.000 alberi intaccati e di altri 90.000 da usare come esca. L’Ips typographus aveva incontrato una condizione favorevolissima per esplodere in tutta la sua virulenza, proprio come fece la febbre spagnola tra le popolazioni civili. (...) Il ricordo del bostrico, che negli anni Venti aveva colpito i nostri boschi, è rimasto vivo tra la gente dell'Altipiano, tanto che fino a poco tempo fa si era usi dire 'ha preso il bostrico' quando si veniva colpiti dall'influenza o da una bronchite".

Nel prosieguo della lectio magistralis, lo scrittore asiaghese si è domandato perché, nel rimboschimento del dopoguerra, la piantumazione dell’abete rosso fosse prevalsa sulle altre, esponendo i boschi ai rischi e alla fragilità delle monocolture

"Non si capisce - continua Rigoni Stern - perché nel rimboschimento di quel dopoguerra non si pensò anche al faggio, all’abete bianco, al larice e a latifoglie adatte al terreno e al clima dell’Altipiano che avrebbero permesso la nascita di una foresta più naturale".

La fragilità della monocoltura di peccio, tra tempesta Vaia e infestazione del bostrico, in questi anni si sta manifestando con particolare evidenza.
Le soluzioni, ovviamente, non sono semplici, ma c’è chi sta provando a ridare nuova vita ai boschi flagellati, inseguendo in parte la naturalità boschiva invocata da Rigoni Stern.

Un impulso interessante arriva da WOWnature, un progetto di Etifor (spin-off dell’Università di Padova). Tra le diverse iniziative, WOWnature offre proprio la possibilità di adottare un albero nelle zone più colpite da Vaia e dal bostrico.

Durante una giornata di impianti organizzata a Enego da Wownature - ©Margherita Sartori

Non si tratta di mera filantropia: essendo un’azienda privata, in modo comprensibile contempla un profitto. Non per questo, tuttavia, si trova imprigionata in logiche speculative. Mira infatti a intervenire, laddove ce n’è bisogno, cercando di favorire proprio quell’eterogeneità selvicolturale auspicata da Rigoni Stern, ma anche da molti forestali.

Un’eterogeneità che, ad oggi, si limita ad accompagnare l’abete con il faggio e il larice, ma che un domani - questa volta auspico io - potrebbe coinvolgere altre specie arboree, di età diverse, uscendo definitivamente da una logica monoculturale per favorire una struttura pluristratificata del bosco, più efficace ad affrontare gli eventi estremi e le epidemie via via crescenti a causa dei cambiamenti climatici.

 

Boschi colpiti dal bostrico - ©Pietro Lacasella