La foto della settimana. I 50 anni del Cerro Torre

Mezzo secolo è passato dalla corale impresa dei Ragni di Lecco su una delle vie di ghiaccio più belle del mondo.
I Ragni in vetta al Cerro Torre: 13 gennaio 1974 © Archivio Ragni di Lecco

Difficile che il primo pensiero non finisca a lui, che del cinquantenario di quella straordinaria salita ne avrebbe parlato da protagonista, insieme alla storia di un gruppo alpinistico e di un’intera città alle prese con la montagna tra le più belle e difficili del mondo. Mariolino, uno dei quattro della vetta, nel suo essere umile e riservato l’avrebbe raccontata con le sue tipiche parole risicate, cercando di stare a margine della scena, delle luci della ribalta, come accaduto due mesi quando è
riuscito a “sparire” sulle montagne di casa sua. Mariolino è Mario Conti, cinquant’anni fa in cima al Cerro Torre, abbracciato al capospedizione Casimiro Ferrari e ai compagni Daniele Chiappa e Pino Negri.

Il 13 gennaio 1974 si chiudeva finalmente il conto aperto che i Ragni di Lecco avevano con la montagna considerata “impossibile”, un’avventura iniziata sedici anni prima. Il prologo era stato della mitica cordata di Walter Bonatti e Carlo Mauri, riuscita a salire in perlustrazione poco sopra il Colle battezzato “della Speranza”, guardando con timide velleità le enormi difficoltà sopra la testa. La via alla cima era infatti sbarrata da muri verticali di ghiaccio, nessuno allora si era mai spinto su quelle pendenze e su quel tipo di ostacoli. Solo Mauri ci ripensò e non escluse la possibilità di riprovarci. Avvenne 12 anni dopo, con la spedizione “Città di Lecco” del 1970 che toccò un punto poco più in alto, nel mezzo dell’”Elmo”, gigante protuberanza ghiacciata a 250 metri dalla cima, i più difficili e verticali. Chi fece da capocordata in questo tentativo fu un giovane Casimiro Ferrari, che forse in quel momento raccolse il testimone da Mauri e negli anni successivi spinse il gruppo Ragni a provarci ancora una volta. “Miro” più di tutti credeva nella possibilità di vincere la sfida al Torre. Uomo minuto, alpinisticamente eccezionale soprattutto su ghiaccio, capace di accendersi una sigaretta nei passaggi più ripidi, dal carattere non facile e famoso per tenacia e resistenza, era “il” capo: un vero leader, con le caratteristiche giuste per guidare la squadra di alpinisti lecchesi al terzo round sul Cerro Torre.

La Via dei Ragni al Cerro Torre © Luca Maspes

Così nell’estate australe 1973/74 il prestigioso gruppo alpinistico e un’intera città rimisero in campo il progetto, affidato all’uomo su cui puntavano per realizzare i propri sogni. I membri della spedizione erano stati accuratamente scelti tra un elevato numero di richiedenti, dal momento che tanti desideravano partire per questa impresa dall’altro capo del mondo: erano i giovani alpinisti più agguerriti dell’ambiente lecchese, ovvero Gigi Alippi, Pierlorenzo Acquistapace, Daniele Chiappa, Mario Conti, Claudio Corti, Giuseppe Lafranconi, Mimmo Lanzetta (fotografo e cineoperatore), Sandro Liati (medico), Pino Negri, Ernesto Panzeri e Angelo Zoia.

Giunti in Patagonia, i Ragni di Lecco piazzarono il campo base al “Filo rosso”, luogo ora più conosciuto come Circo de Los Altares, di fronte ai versanti ovest del Cerro Torre e delle torri di granito che lo circondano. Per giungere qui aggirarono la montagna, arrivando alla base dopo aver percorso la lunga Valle del Rio Tunel e varcato la soglia del Paso del Viento, che dà accesso alla sterminata calotta glaciale dello Hielo Continental. Potendo contare su una logistica accurata e sotto la ferma guida di Ferrari, la scalata dei Ragni fu decisa e risoluta, tanto che a inizio gennaio fu già superato il punto massimo raggiunto nella precedente spedizione, sfruttando i rari momenti di bel tempo che il tirannico meteo patagonico concedeva. I tratti più difficili che i lecchesi incontrano furono dei muri di ghiaccio verticale dalla sagoma impressionante, spesso formati da neve spugnosa su pendenze che le tecniche di allora non permettevano di superare, se non con straordinaria bravura tecnica e l’ausilio di materiali “speciali”. Mancava infatti ancora qualche anno all’adozione delle piccozze con la becca ricurva e al progresso delle tecniche di arrampicata su ghiaccio, ma i Ragni portarono con loro un’attrezzatura appositamente forgiata con mezzi artigianali. Per riuscire a progredire utilizzarono chiodi lunghi quasi mezzo metro, con la forma a cavatappi; oppure tubolari, cavi all’interno, pensati per cercare di fare presa nel ghiaccio spugnoso e inconsistente che caratterizza questo versante del Cerro Torre.

I Ragni si fanno strada tra le formazioni di ghiaccio della via. © Archivio Mario Conti

Impegnati da giorni sulla montagna, in quello che, ormai era chiaro, sarebbe stato l’attacco finale, si trovarono a un certo punto che i viveri cominciavano a scarseggiare, dal momento che il maltempo li aveva costretti a fermarsi in parete più a lungo del previsto. Il cibo non sarebbe bastato più per tutti e furono costretti quindi a decidere chi si doveva sacrificare, ovvero rinunciare alla gloria della vetta del Cerro Torre e scendere al campo base. L’onere della difficile scelta non poteva che toccare al capo, Casimiro Ferrari, che dovette stabilire chi restava e chi invece tornava indietro per consentire alla cordata di punta il tentativo finale. Tuttavia gli fu di grande aiutò il vice-capospedizione Gigi Alippi, che con un gesto generoso e grande spirito di squadra, nel nome del successo collettivo, si offrì di scendere per primo, così da essere d’esempio ad altri membri del gruppo, che gli andarono dietro.

I Ragni si fanno strada tra le formazioni di ghiaccio della via. (arch. M.Conti) © Archivio Mario Conti

L’assalto finale al Torre avvenne il 13 gennaio. I Ragni superarono in sequenza i funghi di ghiaccio sommitali e l’ultimo, il più verticale, fu infine vinto con una difficile e rischiosa scalata ad opera di Ferrari e Mario Conti, che formavano la cordata di punta, seguiti da Daniele Chiappa e Pino Negri. Alle ore 17.45 raggiunsero la vetta: scattarono foto e costruirono un pupazzo di neve che utilizzarono poi come primo ancoraggio della loro discesa in corda doppia. Si trovavamo in cima al
fungo terminale del Cerro Torre, dopo una delle più belle imprese della loro storia, che aveva unito idealmente due generazioni alpinistiche nella sfida alla “montagna impossibile”. Fu un’impresa corale, come sempre da allora è stata raccontata dai suoi protagonisti, un successo condiviso e di tutta la città di Lecco, che visse la cima come un evento epico e indelebile nella sua storia.

La Via dei Ragni è ancora oggi considerata l’itinerario su ghiaccio più bello del mondo, capace di stupire, per la conformazione della montagna, anche il più navigato degli alpinisti. Attualmente è considerata la via “normale” del Cerro Torre, ovvero la più ripetuta. Nei momenti di meteo favorevole non è raro incontrare più cordate contemporaneamente, che spesso si ritrovano a condividere e unire le forze per superare il difficile fungo di vetta, rimasto il passaggio chiave della salita.

Matteo Bernasconi impegnato sull’”headwall”, durante una ripetizione della via nel 2008 © F.Salini