La leggenda di Sylvain Saudan, lo sciatore dell'impossibile

Dall’Aiguille Verte al Gasherbrum, passando per una "falsa morte" in Himalaya: storia del maestro del ripido che ha anticipato lo sci estremo moderno.
Sylvain Saudan impegnato in una discesa ad altissima quota sul Gasherbrum I

Dopo la discesa con gli sci del couloir Spencer all’Aiguille de Blaitière, che fa molto parlare di lui, lo svizzero Sylvain Saudan, soprannominato “lo sciatore dell’impossibile”, firma la prima discesa del couloir Whymper all’Aiguille Verte l’11 giugno 1968. Un anno dopo, il 10 giugno 1969, compie la prima discesa del canalone Marinelli sulla parete est del Rosa, destreggiandosi tra le cornici di neve e i fondi di slavina. A queste discese sensazionali per l’epoca, da molti ritenute impossibili, aggiunge il couloir Gervasutti al Mont Blanc du Tacul e la parete occidentale dell’Eiger, diventando il padre indiscusso dello sci estremo, fonte di ispirazione e imitazione per gli amanti del ripido. Va sottolineato che ai tempi di Saudan, gli anni pionieristici della disciplina, si voltava su sci lunghi e rigidi, di difficile manovrabilità nello stretto dei canali, e con scarponi di cuoio ai piedi. Attrezzi da discesa. Spesso Saudan usava l’elicottero per raggiungere le cime e questo gli ha portato delle critiche.

Dopo le Alpi, il vallesano scia sulle grandi montagne del mondo, spingendosi in luoghi sempre più remoti: Mount Hood in Oregon, Denali in Alaska, Nun Kun in Kashmir e Gasherbrum I in Karakorum, la prima discesa completa di un Ottomila. Utilizza sci di due metri e dieci, vere putrelle per gli standard odierni, lima i bordi degli scarponi per muoversi meglio sulle pendenze di 55 gradi e perfeziona la “curva a tergicristallo”, una sua invenzione.

 

Il giorno in cui Saudan morì

Nel 2024, dopo la sua scomparsa, il Financial Times gli ha dedicato un bell’articolo, svelando che Sylvain era già morto nel 2007, quando il suo elicottero precipitò sull’Himalaya e lui sparì nel nulla. Appresa la notizia, una valanga di tributi lo celebrò sui giornali svizzeri e gli amici dissero belle cose di lui. Ma il vecchio Saudan, intanto, inscenava uno dei tanti suoi numeri da circo. Uscito illeso dai detriti del velivolo, raccolte le sue cose, s’era messo gli sci ai piedi e aveva guidato i due clienti giù per una remota valle del Kashmir. Avevano sciato tutto il giorno, avevano bivaccato all’aperto e infine il giorno seguente avevano raggiunto una postazione militare. Salvi. Al ritorno in Svizzera il maestro si era divertito a leggere i necrologi: “Sono uno dei pochi che sanno già che cosa scriveranno di lui da morto” aveva commentato divertito.